-Anno 17° n. 18 – 28 marzo 2021
DOMENICA 28 marzo 2021 – DOMENICA delle PALME – B-
O Croce di Cristo!
O Croce di Cristo, simbolo dell’amore divino e dell’ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell’egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione, segno dell’obbedienza ed emblema del tradimento, patibolo della persecuzione e vessillo della vittoria. O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei cuori impietriti di coloro che giudicano comodamente gli altri, cuori pronti a condannarli perfino alla lapidazione, senza mai accorgersi dei propri peccati e colpe. O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato. O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei distruttori della nostra “casa comune” che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni. O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli anziani abbandonati dai propri famigliari, nei disabili e nei bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società. O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate. O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto.
papa Francesco
Prima Lettura
Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso. (Terzo canto del Servo del Signore)
Dal libro del profeta Isaìa
Is 50,4-7
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Sal 21 (22)
R. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!». R.
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa. R.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto. R.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele. R.
Seconda Lettura
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltòDalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fil 2,6-11
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Per noi Cristo si è fatto obbediente
fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome. (Fil 2,8-9)
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Vangelo
La passione del Signore
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco
Mc 14,1 – 15,47
– Cercavano il modo di impadronirsi di lui per ucciderlo
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
– Ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
– Promisero a Giuda Iscariota di dargli denaro
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
– Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
– Uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
– Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue dell’alleanza
E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
– Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
“Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”.
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
– Cominciò a sentire paura e angoscia
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
– Arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
– Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi a? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva a. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.
– Non conosco quest’uomo di cui parlate
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
– Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?
E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei? ». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi a? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più a, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
– Intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
– Condussero Gesù al luogo del Gòlgota
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
– Con lui crocifissero anche due ladroni
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
– Ha salvato altri e non può salvare se stesso!
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
– Gesù, dando un forte grido, spirò
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
– Giuseppe fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.
Parola del Signore.
PER APPROFONDIRE
LA PALMA DA DATTERI
Nell’udienza del mercoledì il Papa concludeva con questa immagine: “In Iraq, nonostante il fragore della distruzione e delle armi, le palme, simbolo del Paese e della sua speranza, hanno continuato a crescere e portare frutto. Così è anche per la fraternità: come il frutto delle palme non fa rumore, ma è fruttuosa e fa crescere”. Mio nonno mi diceva che le palme è uno di quelle piante che hanno bisogno di tanto tempo per crescere e per portare frutto così diceva che chi le piante non ne mangia il frutto, che sono i datteri, ma piantarle è un gesto di altruismo verso quelli che verranno dopo di noi e potranno gustare i frutti. Così la palma è il segno duplice della speranza e della generosità. Perché se non hai speranza che ci sia il frutto non la pianteresti, ma solo se hai la generosità e la gratuità nel cuore puoi piantare la palma dalla quale altri potranno mangiare i frutti. Anche la Bibbia ha un riferimento particolare ai datteri frutti della palma essi sono il simbolo della dolcezza e della sostanza nutritiva della Parola di Dio. Mangiare la Parola e nutrirsi di essa dà dolcezza e forza e energie per la vita spirituale dello spirito.
C’è un racconto che si trova in uno dei vangeli apocrifi. Esso dice che quando Maria e Giuseppe furono costretti ad emigrare in Egitto a causa del re Erode che voleva uccidere il bambino Gesù, il viaggio nel deserto fu faticoso e lungo e le provviste portate per il viaggio sono venute a mancare. Fu allora che venutisi a fermare all’ombra di alcune palme esse piegarono le loro fronde fino a arrivare alle mani della Madonna che potè così raccogliere i datteri e sfamarsi con Giuseppe e Gesù. Ancora questo racconto ci viene a ricordare come la palma sia una pianta generosa che si fa attenta e disponibile a donare i suoi frutti a chi ne ha bisogno. Essa continua raccomandare che la nostra vita vale nella misura in cui è donata con generosità a servizio del prossimo.
Non va dimenticata la funzione primaria della palma da dattero, ovvero fornire ombra e ristoro. In un ambiente ostile in cui le temperature e il vento rendono difficile ogni attività, la protezione fornita dalle palme è essenziale. Oltre all’ombra, le palme forniscono un importante aiuto nella gestione delle tempeste di sabbia e dell’avanzamento del deserto. Nelle regioni meridionali del Marocco, dove il grande Sahara avanza inesorabilmente, i beduini costruiscono delle piccole muraglie di foglie di palma per contenere gli effetti del vento rosso. Ancora la palma può insegnarci che la nostra vita è “fare ombra” cioè “prendersi cura” del fratello cercando di essere di aiuto a lui nei momenti belli come in quelli di difficoltà. E il fatto poi che la palma serve anche come protezione contro l’avanzata del deserto indica che anche noi dobbiamo essere attenti e disposti a combattere l’avanzata del male che vuole impossessarsi dell’uomo e dell’umanità.
Infine per noi cristiani, che ci stiamo preparando alla Pasqua, le palme ricordano l’entrata di Gesù in Gerusalemme dove egli sa di andare incontro alla sua passione e morte, ma il terzo giorno risorgere. Noi non usiamo di solito, per questa celebrazione, le palme perchè difficili da reperire ma usiamo i rami di ulivo per annunciare l’inizio della Settimana Santa. Da quanto ci è dato quest’anno di capire sarà una Settimana Santa ancora blindata e di ristrettezze, ma vediamo di non perdere quello che è il significato cristiano per noi, questa settimana che ci prepara alla Pasqua sia segnata come nel significato della palma: dalla speranza e dalla generosità, dalla dolcezza dell’ascolto della Parola di Dio dal prendersi cura del prossimo, e dall’opporsi all’avanzata del male.
Buona Settimana Santa!
don Natale
21 MARZO 2021
Confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a Pasqua
Così recitava uno dei 5 precetti generali della Chiesa, ma ci chiediamo: come attuarlo con questa pandemia e in zona rossa, data l’aggravata pericolosità del contagio? I nostri Vescovi – che sono oltre che maestri anche pastori – hanno dato la facoltà della celebrazione della Penitenza o Confessione in forma comunitaria con l’Assoluzione generale come abbiamo già sperimentato a Natale. Ad essa vanno aggiunte tre importanti premesse:
- questo rito della celebrazione della confessione, poiché ha vero e proprio valore di Sacramento, necessita di essere ben compreso e quindi ha bisogno di una catechesi che ne spieghi il valore, specificandone la straordinarietà della concessione, che è data per evitare il più possibile il rischio del contagio. Non è dunque una scappatoia per non andare a confessarsi in forma individuale.
- nel rispetto di tutte le precauzioni ci sia la possibilità, per chi lo desidera, della confessione individuale e personale. Perciò noi sacerdoti saremo a disposizione secondo gli orari che vi saranno comunicati per la confessione individuale.
- rimane l’impegno nella confessione successiva di chiarire con il confessore, là dove ci fosse bisogno di un approfondimento, per quanto riguarda la gravità di alcuni peccati. Il confessore, infatti, a nome della Chiesa, ha anche il compito di educare e di istruire la coscienza delle persone, accompagnandole nel loro percorso di crescita nella vita cristiana. Egli è chiamato ad aiutare i fedeli a formulare un giusto giudizio morale sulle proprie azioni a confronto con il Vangelo e il Magistero della Chiesa.
Certo che questa possibilità è data perché non ci venga a mancare il grande dono della Misericordia di Dio Padre che ci è stato dato nella morte e nella risurrezione di Gesù che celebriamo nella festa della Pasqua. Vorrei allora soffermarmi con voi su tre espressioni, che spiegano bene il senso del Sacramento della Riconciliazione; perché – come dice papa Francesco – andare a confessarsi non è andare in tintoria perché mi tolgano una macchia. No, è un’altra cosa. E’ Abbandonarsi all’Amore significa compiere un vero atto di fede nell’Amore del Signore. La fede è l’incontro con la Misericordia, con Dio stesso che è Misericordia – il nome di Dio è Misericordia – ed è l’abbandono tra le braccia di questo Amore, misterioso e generoso, di cui tanto abbiamo bisogno, ma al quale, a volte, si ha paura ad abbandonarsi. Il dolore per i propri peccati è il segno di tale abbandono fiducioso all’Amore. La crescita nella fede. Vivere così la Confessione significa lasciarsi trasformare dall’Amore. È la seconda dimensione è l’Amore che si è manifestato pienamente in Gesù Cristo e nella sua morte in croce per noi. Il penitente che incontra, nel colloquio sacramentale, un raggio di questo Amore accogliente, si lascia trasformare dall’Amore, dalla Grazia, iniziando a vivere quella trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne, che è una trasformazione che si dà in ogni confessione. Questo si chiama il cammino della conversione. La terza e ultima espressione è: corrispondere all’Amore. L’abbandono e il lasciarsi trasformare dall’Amore hanno come necessaria conseguenza una corrispondenza all’amore ricevuto. Il cristiano ha sempre presente quella parola di San Giacomo: «Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (2,18). La reale volontà di conversione diventa concreta nella corrispondenza all’amore di Dio ricevuto e accolto. Si tratta di una corrispondenza che si manifesta nel cambiamento della vita e nelle opere di misericordia che ne conseguono. Sono i frutti del perdono.
Chi è stato accolto dall’Amore, non può non accogliere il fratello.
Chi si è abbandonato all’Amore, non può non consolare gli afflitti.
Chi è stato perdonato da Dio, non può non perdonare di cuore ai fratelli.
don Natale
NB. Le celebrazioni della Confessione con Assoluzione generale saranno: tutte alle ore 20,30.
- a Concordia cattedrale Mercoledì 23 marzo e Mercoledì 31 marzo
- a Sindacale chiesa parrocchiale lunedì 29 marzo
- a Teson chiesa parrocchiale martedì 30 marzo
14 MARZO 2021
IL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE e le 24 Ore per il Signore
La Quaresima è fortemente un invito a ritornare al Signore e a convertirsi, il modo concreto che la chiesa ha accolto dal Vangelo è il sacramento della Penitenza o Riconciliazione che noi comunemente chiamiamo sacramento della Confessione. Vorrei condividere con voi qualche riflessione anche in riferimento alla possibilità che ci viene offerta della Confessione individuale e ora, a causa della Pandemia, anche della celebrazione della Penitenza con la assoluzione generale come abbiamo già celebrato per il Natale. Quello che è importante è capire bene, e soprattutto vivere bene questo sacramento che nel corso dei secoli ha avuto tanti cambiamenti che indicano come esso sia legato nel suo modo di essere vissuto dalla sensibilità e dalla spiritualità proprie del periodo in cui viviamo. Cerco nella celebrazione delle 24 ore per il Signore di raccogliere alcuni spunti di riflessione che colgo dalle catechesi di papa Francesco.
Il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione scaturisce direttamente dal mistero pasquale. Infatti, la stessa sera di Pasqua il Signore apparve ai discepoli, chiusi nel cenacolo, e, dopo aver rivolto loro il saluto «Pace a voi!», soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Questo passo ci svela la dinamica più profonda che è contenuta in questo Sacramento. Anzitutto, il fatto che il perdono dei nostri peccati non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono al Signore. Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso e risorto.
In secondo luogo, ci ricorda che solo se ci lasciamo riconciliare nel Signore Gesù col Padre e con i fratelli possiamo essere veramente nella pace. E questo lo abbiamo sentito tutti nel cuore quando andiamo a confessarci, con un peso nell’anima, un po’ di tristezza; e quando riceviamo il perdono di Gesù siamo in pace, con quella pace dell’anima tanto bella che soltanto Gesù può dare, soltanto Lui.
La dimensione comunitaria della Confessione. Infatti, è la comunità cristiana il luogo in cui si rende presente lo Spirito, il quale rinnova i cuori nell’amore di Dio e fa di tutti i fratelli una cosa sola, in Cristo Gesù. Ecco allora perché non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa. Nella celebrazione di questo Sacramento, il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni suo membro, che ascolta commossa il suo pentimento, che si riconcilia con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e maturazione umana e cristiana. Per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona del sacerdote. Colui che si confessa è bene che si vergogni del peccato: la vergogna è una grazia da chiedere, è un fattore buono, positivo, perché ci fa umili. C’è anche l’importanza del gesto. Il solo fatto che una persona vada al confessionale, indica che c’è già un inizio di pentimento, anche se non è cosciente. Se non ci fosse stato un moto iniziale, la persona non sarebbe venuta. Il suo essere lì può testimoniare il desiderio di un cambiamento.
Celebrare il Sacramento della Riconciliazione significa essere avvolti in un abbraccio caloroso: è l’abbraccio dell’infinita misericordia del Padre. Ricordiamo quella bella, bella parabola del figlio che se n’è andato da casa sua con i soldi dell’eredità; ha sprecato tutti i soldi, e poi, quando non aveva più niente, ha deciso di tornare a casa, non come figlio, ma come servo. Tanta colpa aveva nel suo cuore e tanta vergogna. La sorpresa è stata che quando incominciò a parlare, a chiedere perdono, il padre non lo lasciò parlare, lo abbracciò, lo baciò e fece festa.
Ogni volta che noi ci confessiamo, Dio ci abbraccia, Dio fa festa!
Andiamo avanti su questa strada. Che Dio vi benedica!
don Natale
7 MARZO 2021
NDEN IN CESA N TE A QUARESIMA
“Nden in Cesa n te a Quaresima a preà” Il vangelo di questa 3 domenica di Quaresima ci riporta l’episodio di Gesù che scaccia i venditori e i cambiamonete dal tempio e pronuncia la famosa frase: “Non fate della casa del Padre mio un mercato”. Con la pandemia la chiesa risulta uno dei luoghi più “sicuri” e nel quale ci si può fermare, rispettando le “regole” con tranquillità e serenità. Capisco e ho grande rispetto per gli anziani che hanno difficoltà a frequentare la chiesa anche perché sono “sgridati” dai famigliari preoccupati per la loro salute. Con accortezza, igienizzandosi le mani, indossando sempre e bene le mascherine, e occupando i posti distanziati come è indicato per il momento dovremmo essere salvaguardati da eventuali contagi, e questo lo dico perché se c’è bisogno di una “sanità” esterna non meno importante è una “sanità” interiore che il venire in chiesa rafforza e consolida. E venire in chiesa il motivo è quello di incontrare il Signore nella preghiera
“Nden in Cesa n te a Quaresima a lassasse perdonà dal Signor”. La Quaresima è un invito alla purificazione. Dio sa bene cosa c’è nel cuore di ognuno di noi, e conosce di prima mano i grovigli che noi uomini e donne di ogni tempo siamo in grado di creare con le nostre fragilità e incoerenze, e con la tanta rumorosa confusione. Per questo ci promette che avremo sempre accanto la compagnia affettuosa e misericordiosa della Chiesa, che ha il compito di accogliere e valorizzare tutto ciò che è umano: «Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza» (Papa Francesco). Una debolezza che la Chiesa accoglie e perdona in particolare nella celebrazione del sacramento della riconciliazione, momento speciale del percorso della Quaresima. Dio conosce il cuore di ognuno, e Gesù ci incoraggia a credere che è sempre possibile ricominciare, nonostante e attraverso le tante mercanzie buone e meno buone che ognuno di noi si ritrova nel cuore. Il Maestro che ci insegna il rifiuto radicale all’egoismo e al disordine, allo stesso tempo ci promette che «in tre giorni farà risorgere» tutto il bene che c’è nel nostro cuore. Quando vado a confessarmi è per guarirmi, per curarmi l’anima. Per uscire con più salute spirituale. Per passare dalla miseria alla misericordia. Il Papa Francesco propone, per il mese di marzo, di pregare «affinché viviamo il sacramento della riconciliazione con una rinnovata profondità, per gustare l’infinita misericordia di Dio». Al centro della confessione ci sono non i peccati che diciamo, ma l’amore divino che riceviamo e di cui abbiamo sempre bisogno. Il centro della confessione è Gesù che ci aspetta, ci ascolta e ci perdona.
“Nden in Cesa n te a Quaresima a scoltà chel che l’ha da dine el Signor”. Ai miei tempi ricordo che c’erano i quaresimali. Un sacerdote “foresto”, in genere un frate dalla voce tonante, veniva al “vespro dea domenia” e teneva una predica che di solito era incentrata sulle virtù della vita cristiana da seguire e sui vizzi dai quali rifuggire senza alcun indugio. Ricordo un particolare che rendeva particolarmente suggestivo il quaresimale alla ultima predica, quando il predicatore aveva terminato la predica della passione, fuori della cattedrale i cacciatori o chi possedeva un fucile incominciavano a sparare a salve e questo da un verso ci rendeva tutti eccitati e dall’altro ci faceva anche un po’ di paura. Forse anche così dovrebbe smuovere la nostra vita la Parola di Dio da una parte renderci allegri ed entusiasti per la bella notizia che Gesù ci dona e dall’altra essere pensosi e mortificati perché, pur capendone la bellezza, facciamo tanta fatica a metterla in pratica.
Avanti allora nden n te a Quaresima a preà el Signor,
a lassasse perdona dal Signor,
e a scoltà chel che l’ha da dine el Signor.
don Natale
28 FEBBRAIO2021
IMPARIAMO A FISSARE LO SGUARDO SUI FRAMMENTI DI BELLEZZA E DI UMANITÀ CHE CI CIRCONDANO
La seconda domenica di Quaresima la chiesa ci propone l’episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte davanti ai tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Pietro di fronte alla trasfigurazione di Gesù esclama: “Maestro è bello per noi essere qui”. È bello! L’altro giorno ho incrociato un uomo l’ho salutato e gli ho chiesto (di questi tempi la prima domanda è sempre questa): “Com’ea?” mi ha risposto: “Ringrasi el Signor, stai propio benon, e soi contento” e anche se aveva la mascherina ho visto dai suoi occhi che rideva contento.
Sabato scorso, in un pomeriggio romano quasi primaverile, Edith Bruck ha ricevuto nella propria abitazione la visita di papa Francesco. A muovere il Papa è stata la lettura dell’intervista con Edith Bruck, ottantottenne scrittrice e poetessa ebrea di origini ungheresi sopravvissuta alla Shoah. Edith Bruck ha dedicato tutta la sua vita a testimoniare quanto ha visto. Furono due sconosciuti, di cui raccolse l’ultima voce nel campo di concentramento di Bergen–Belsen, a supplicarla di farlo: «Racconta, non ti crederanno, ma se tu sopravvivi racconta, anche per noi». Lei ha tenuto fede alla promessa. Ciò che colpisce, nei suoi scritti, è lo sguardo di speranza che Edith riesce a trasmettere. Nonostante ciò di cui è stata testimone da bambina nei campi di sterminio nazisti, dove sono stati uccisi il papà, la mamma e un fratello. Si può attraversare l’abisso di orrore e di male dei campi di sterminio nazista e raccontarne tutta la cruda realtà riuscendo a cogliere anche in quelle tremende circostanze frammenti di umanità e di speranza. Lo sguardo che emerge dalla sua testimonianza è che anche quando racconta dei momenti più bui non manca mai di fissare il suo sguardo su un particolare bello, su un accenno di umanità che le ha permesso di continuare a vivere e a sperare. Così, nel descrivere la vita del ghetto dopo essere stata strappata insieme ai suoi genitori e ai suoi fratelli dalla casa nel villaggio contadino dove viveva, ecco che racconta di un uomo non ebreo che regala un carro di viveri per aiutare i perseguitati. Quando era costretta a lavorare nel lager di Dachau per scavare trincee, eccola ricordare un soldato tedesco che gli lanciava la sua gavetta da lavare, «ma al fondo aveva lasciato della marmellata per me». Mentre descrive il suo lavoro nelle cucine per gli ufficiali ecco spuntare la figura del cuoco che le aveva chiesto come si chiamasse e all’udire la risposta, pronunciata da Edith con voce tremante, aveva risposto: «Ho una bambina della tua età con il tuo stesso nome». Detto questo, «tirò fuori dalla tasca un pettinino e guardando la mia testa me lo regalò. Fu la sensazione di trovarmi davanti dopo tanto tempo un essere umano. Mi commosse quel gesto che era vita, speranza»; questo èsaper fissare il nostro sguardo sui frammenti di bellezza e di umanità che ci circondano, e che confortano il cuore anche quando attraversiamo i deserti più aridi e le situazioni più difficili. Di questo sguardo c’è davvero bisogno anche nella comunicazione, come ha scritto Papa Francesco: «Vorrei che tutti cercassimo di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite».
Ho trovato una bella iniziativa come proposta di catechismo, che diventa anche una indicazione per come vivere la quaresima porta questo titolo: “Sempre connessi con la buona notizia”. Essa richiama ad essere connessi con la bella notizia di Gesù nel suo vangelo, ma anche essere connessi con i fratelli per tutte quelle cose belle che ci sono tra di noi basta fermarsi e guardare con occhi buoni la realtà.
Un giorno alcune suore hanno trovato Santa Teresa del Bambino Gesù nel giardino del monastero ed era in lacrime e alla richiesta perché stesse piangendo, cosa avesse di male rispose: “Piango ma di gioia vedendo quanto deve essere bello il Signore che si riflette nella bellezza di tutti questi fiori del giardino”. Vorrei che tutti noi ci impegnassimo a vedere il bello che c’è attorno a noi e a raccontarlo con gioia a tutti. Uno sguardo che anche san Francesco di Sales, indicava come via da seguire: «Se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma sempre la tua attenzione al più bello».
don Natale
21 FEBBRAIO2021
DAA SINISA A L’AGA
Ai imparat da fiol che la sinisa non è una roba da butà via. Coa sinisa le nostre mamme e nonne facevano a lisiva, cioè si gettava dell’acqua bollente sopra della cenere che era posta su un pezzo di lenzuolo vecchio e sotto, nel mastel, c’erano le lenzuola da lavare e questo originale detersivo sbiancava le lenzuola così bianche che più bianco non si può e poi che buon profumo di pulito si spandeva per l’aria. Ma la sinisa era anche sparsa sulle cuiere de l’ort ed era prezioso concime naturale per le culture che allora sì erano veramente biologiche. Ma la sinisa ricavata dalla combustione dei rami di ulivo benedetto era anche usata il primo giorno di Quaresima per essere messo un pizzico sulla testa dei fedeli ai quali veniva ricordato: “Ricordati uomo che sei polvere e in polvere ritornerai”. Ad ammonire che l’uomo tenesse bassa la testa e non si lasciasse andare a spavalderie e a superbie e sapesse comportarsi bene di fronte a Dio e nel rispetto del prossimo, ricordando che un tempo avrebbe dovuto rendere conto al Signore di come ha speso la sua vita su questa terra.
E poi c’è anche l’aga che non serve solo a bere, ma alla fine della Quaresima, cioè il Giovedì santo, con rito solenne e alquanto significativo, il sacerdote versava l’aga con una brocca a lavare i piedi degli “apostoli”, a ricordo e a ripetere il gesto di Gesù che si era inchinato a lavare i piedi agli apostoli in quella ultima cena e aveva detto come faccio io che sono il Signore e Maestro fate anche voi, inchinatevi a lavare i piedi ai fratelli e così esprimere il vero amore che non si vergogna anzi è contento di poter inchinarsi per servire il prossimo. Ho ricordato la sinisa e l’aga come segni del primo e dell’ultimo giorno della Quaresima che abbiamo appena iniziata ma ora ritorno ad alcune bellissime e significative parole del Papa che si indica come vivere Quaresima:
«Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ritornate a me. La Quaresima è un viaggio di ritorno a Dio. Quante volte, indaffarati o indifferenti, gli abbiamo detto: “Signore, verrò da Te dopo, aspetta… Oggi non posso, ma domani comincerò a pregare e a fare qualcosa per gli altri”. E così un giorno dopo l’altro. Ora Dio fa appello al nostro cuore. Nella vita avremo sempre cose da fare e avremo scuse da presentare, ma, fratelli e sorelle, oggi è il tempo di ritornare a Dio.
Questo è il centro della Quaresima: dove è orientato il mio cuore? Proviamo a chiederci: dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io? Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto e così via? Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio? Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore dalle doppiezze e dalle falsità che lo incatenano? Guardiamo al figlio prodigo e capiamo che pure per noi è tempo di ritornare al Padre. Come quel figlio, anche noi abbiamo dimenticato il profumo di casa, abbiamo dilapidato beni preziosi per cose da poco e siamo rimasti con le mani vuote e il cuore scontento. Siamo caduti: siamo figli che cadono in continuazione, siamo come bimbi piccoli che provano a camminare ma vanno in terra, e hanno bisogno di essere rialzati ogni volta dal papà. È il perdono del Padre che ci rimette sempre in piedi: il perdono di Dio, la Confessione, è il primo passo del nostro viaggio di ritorno. Questo nostro viaggio di ritorno a Dio è possibile solo perché c’è stato il viaggio di andata di Gesù verso di noi. Altrimenti non sarebbe stato possibile. Prima che noi andassimo da Lui, Lui è sceso verso di noi. Ci ha preceduti, ci è venuto incontro. Per noi è sceso più in basso di quanto potevamo immaginare: si è fatto peccato, si è fatto morte. È quanto ci ha ricordato San Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore» A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere. Ci salva la grazia, la salvezza è pura grazia, pura gratuità. L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia bisognosi della sua grazia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà. Io mi sento bisognoso o mi sento autosufficiente?
Oggi abbassiamo il capo per ricevere le ceneri.
Finita la Quaresima ci abbasseremo ancora di più per lavare i piedi dei fratelli.
BUONA E SANTA QUARESIMA dea SINISA e de l’AGA
don Natale
14 FEBBRAIO2021
IMPARIAMO DAI NOSTRI SANTI MARTIRI
A VIVERE DA CRISTIANI LA QUARESIMA
Quest’anno il 17 febbraio, giorno nel quale si fa memoria dei nostri Santi Martiri, è anche il mercoledì delle Ceneri con il quale inizia il tempo della Quaresima. Per questo, su indicazione del Vescovo, la memoria del Santi Martiri è anticipata al 16 febbraio e sarà il Vescovo stesso a presiedere una celebrazione alle ore 10,00 per la Comunità e una celebrazione alle 11,15 a cui sono invitati i ragazzi e i bambini con i loro famigliari.
La coincidenza di queste date mi suggerisce qualche considerazione.
I nostri Santi Martiri hanno attraversato il tempo della persecuzione e hanno dato testimonianza della loro fede fino al dono della propria vita. Noi entriamo nel tempo della Quaresima attraversando la grande prova della pandemia e con la constatazione di una diffusa indifferenza nei riguardi della fede che investe i nostri tempi. Come i nostri Santi Martiri così anche a noi è chiesto di testimoniare e rimanere saldi nella fede, provo ad indicare qui alcune scelte per vivere da cristiani questo tempo di Quaresima.
Sette consigli per contrastare il virus della tristezza e della indifferenza:
1) Umiltà per riconoscerci bisognosi di conversione e desiderio sincero di lasciarsi cambiare interiormente.
2) Preghiera quotidiana per coltivare un rapporto di intimità con il Signore e chiedere che il Signore si sieda accanto a noi per farci compagnia nelle situazioni belle e tristi della vita.
3) Moderarsi nel mangiare, nel bere, nelle continue attività, nelle parole, nei pettegolezzi, nelle lamentele per camminare non appesantiti dagli affanni e dalle cose del mondo.
4) Staccare ogni tanto telefono, cellulare, televisore, per stare in silenzio e riflettere, per fare una passeggiata e gustare la libertà del creato, per fermarsi e godere della bellezza di un fiore, di un tramonto… e ringraziare Dio.
5) Confessarsi, dicendo con sincerità i propri peccati, le proprie paure, le proprie miserie e sentire dal Signore che nella sua misericordia di amore ci ripete: “ Sei perdonato. Va in pace e non peccare più”.
6) Compiere piccole opere di misericordia sia spirituali che corporali nella propria casa, tra i propri famigliari con i vicini e nel proprio ambiente di vita.
7) Liberarsi un po’ dal possesso ossessivo dei propri soldi e dai propri beni donando con generosità e senza farsi vedere a chi è nel bisogno.
I nostri Santi Martiri hanno testimoniato con la loro vita la speranza in Dio cioè in Colui che ci dona la pienezza di vita oltre la morte nella vita eterna. La Quaresima è tempo opportuno per rinforzare in noi e negli altri la speranza, per affidare la nostra esistenza a Gesù il Crocifisso Risorto. La Quaresima è tempo opportuno per vivere secondo il Vangelo, camminando nell’amore di Colui che ci cammina a fianco con la dolcezza e l’affetto di Padre. La Quaresima allora è per noi tempo opportuno per sentirci amati dal Signore e per imparare ad amare i fratelli nel dono di noi stessi sull’esempio e per l’intercessione dei nostri Santi Martiri concordiesi. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi.
Preghiamo gli uni per gli altri affinché,
partecipi della vittoria di Cristo,
sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero.
Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua.
Buona e santa Quaresima!
don Natale
7 FEBBRAIO2021
EL CURTIF
Chi è nativo di Concordia e ha una certa età ricorderà come la nostra esistenza giornaliera si svolgesse in gran parte nel curtif o curtivo. Io ricordo, e lo ricordo con piacere, il mio curtif. C’erano 5 famiglie che si affacciavano sul mio curtif che era aperto per tutti anche se ciascuno aveva ritagliato, magari in corrispondenza della porta della propria casa, uno spazio personale dove c’era ricordo: in uno un bar de osmarin, in un’altra na pianta de ua fraghua, e più avanti un oleandro tra i rami del quale qualche coppia di merli si azzardava anche a fare il nido. Per il curtivo “passeggiavano” indisturbate giaine e rasse e in fondo c’erano i stavui dei pursiei. Per noi bambini quello era il nostro parco divertimenti, lo spazio dove organizzare, secondo le stagioni, i vari giochi, il luogo delle amicizie e anche delle baruffe alle quali con una imparzialità che non guardava a chi aveva torto o ragione ponevano fine quattro patafe delle mamme che chiudevano ogni nostra rimostranza dicendo: “Te sta a cjasa tova cussì no te suceit nient”.
Sono ritornato, e devo ammetterlo con un po’ di nostalgia, ai tempi dell’infanzia soprattutto per sottolineare quale fu l’ambiente educativo di un tempo che era circoscritto nel curtif ambiente di relazioni, di trasparente confronto con il bene e anche con i limiti e le debolezze umane, ma sempre carico di umanità e almeno, da quanto io ricordo, rispettoso delle idee e delle espressioni religiose di ciascuno. Ricordo per esempio che in una piccola nicchia sul un muro era stata posta una statua della Madonna ebbene noi che giocavamo usando tutti i muri delle case del curtif, rispettavamo quello in cui c’era la nicchia della Madonna anzi, specialmente in certe circostanze, ci fermavamo per dire un’Ave Maria quando qualcuno del curtif era malato o sta male.
Un altro momento che ricordo era alla sera d’estate quando i grandi si sedevano su piccoli banciut e noi bambini invece ci sedevano sul bordo del marciapiede al fresco e i grandi raccontavano storie un po’ vere e un po’ inventate e quando diventavano un po’ troppo spinte c’era sempre qualcuno che ammoniva:”Vara che se i fioi”.
Oggi la chiesa italiana celebra la GIORNATA DELLA VITA che ha come riferimento una frase dall’Evangelium vitae di Papa Francesco “Ogni vita umana, unica e irripetibile, che vale per se stessa, costituisce un valore inestimabile. Così gli uomini e le donne veramente liberi fanno proprio l’invito del Magistero: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà, pace e felicità!”.
La pandemia ci ha costretto e continua a costringerci ad una presenza molto più prolungata nella casa. Come non approfittare di questa opportunità perchè la casa, come un tempo il curtif, sia il luogo dove si impara ad amare, a rispettarsi a vicenda e a crescere nella conoscenza della presenza del Signore? Come un tempo anche oggi mi piacerebbe che il Signore veramente abitasse le nostre case, fosse ospite ai nostri pranzi e alle nostre cene. Ne accogliessimo l’esistenza discreta e costante nella preghiera fatta insieme, nell’ascolto di qualche brano del Vangelo e in qualche spazio di silenzio per sentire la presenza di un amico che ci conforta, ci incoraggia e ci sostiene nei vari tempi della nostra esistenza.
L’invito che oggi ci viene detto con forza in questa giornata della vita è quello di riscoprire il bene della vita, di ogni vita, la difesa della vita in ogni sua stagione, l’impegno e la responsabilità ad educare ogni vita umana nel rispetto del suo progetto originario nella mente di Dio e quindi di coltivarne l’apertura alla dimensione spirituale e di fondare il rapporto di corresponsabilità universale nella solidarietà e nella condivisione.
Maria Madre della vita,
delle nostre case e famiglie prega per noi.
don Natale
31 GENNAIO 2021
101
101 sono gli anni di tre delle nostre parrocchiane Elena, Lucia e Teresa che in poco più di un mese hanno lasciato questa terra per l’incontro con il Signore. Ma in quest’anno sono tante le donne e gli uomini anziani che hanno concluso la loro vicenda umana e sono passati all’altra riva. Mi pare non solo doveroso ma anche importante e costruttivo per noi ricordarli e soprattutto raccogliere con profitto la loro grande eredità di saggezza che si traduceva nei loro di stili di vita. La vita di gran parte di essi è segnata all’inizio dalla povertà e in tanti casi dalla miseria che faceva fatica a combinare il pranzo con la cena. Poi c’è stata la guerra e ancora povertà, lutti e disgrazie perché lo sappiamo bene la guerra porta con sé solo cose brutte e distruzioni sia fisiche che morali. In tutta questa situazione dolorosa e a volte tragica alcuni hanno tentato la via dell’emigrazione e le mete più agognate sono state l’America del Sud in modo particolare il Brasile e l’Argentina. Si partiva con la famosa valigia di cartone con pochi stracci dentro e qualche conforto alimentare che i primi giorni di navigazione erano subito finiti. Arrivati si pensava di trovare grandi risorse e invece bisognava adattarsi con grande umiltà a fare gli ultimi mestieri, senza conoscere la lingua e cercando, dovere era possibile, di appoggiarsi a qualche parente o conoscente che era partito prima e aveva provato a trovare una qualche sistemazione onesta e dignitosa. Nel taccuino c’erano quei pochi soldi che si era riuscito a racimolare e insieme i santini della nostra Madonna della Salute e quello dei Santi Martiri Concordiesi conservati come il ricordo prezioso e la protezione dalla amata Concordia. Non c’erano comunicazioni se non via lettera, ma non tutti sapevano leggere e scrivere per cui le lettere che giungevano avevano un copione fisso perché probabilmente scritte in serie da qualcuno che si rendeva disponibile a scrivere per tutti anche se in esse si poteva respirare la grande nostalgia e le tante difficoltà incontrate perché anche l’America vista da vicino era molto diversa da quello che si diceva. Chi rimaneva a casa si adattava come poteva se c’era qualche pezzetto di terra ci si poteva permettere di allevare qualche animale da cortile e soprattutto si facevano tutti i sacrifici per allevare un maiale che assicurava una certa riserva per tutto l’inverno. Ma i racconti sarebbero tanti, tanti… Ho riscontrato poi che i nipoti che sono stati “tirati su” dai nonni sono molto riconoscenti a loro e ne sentono con grande tristezza la perdita. E purtroppo, anche a causa di questa pandemia, la nostra è una società che è stata tristemente decimata nei suoi anziani. Facciamo in modo di farci raccontare queste “storie vere” dai protagonisti superstiti perché non se ne perda la memoria e soprattutto l’insegnamento di vita che esse contengono. Tra i quali sottolineo solamente questi tre:
I sacrifici e le difficoltà che hanno incontrato i nostri anziani hanno prodotto per noi un maggiore tenore di vita, ma, come succede spesso, da essi non abbiamo imparato che la vita va affrontata, come hanno cercato di fare loro, con la serietà dell’impegno, con la costanza del lavoro e con la solidarietà fra tutti. Questo insegnamento ci sarà molto utile in questo tempo di pandemia.
La vita famigliare rimaneva punto di riferimento costante e la tenuta dei rapporti tra fratelli dava vera continuità alla relazione tra famiglie. Nelle famiglie, specialmente le mamme, erano abili a rammendare e non si buttava via niente, e quest’arte di “tirare su i punti” lo facevano anche quando si accorgevano che c’era qualche “smagliatura” tra i figli e non si stancavano mai di ripetere che la soluzione è cercare di andare d’accordo tra fratelli anzi ricordo quella mamma che ogni volta che aveva a pranzo i figli con le loro famiglie concludeva salutandoli: “Me raccomando serchè de volesse bene e de aiutasse fra fradei adess e quan che non ghe sarai pì”.
La vita cristiana e di fede, semplice si ma salda. La domanda che veniva puntualmente fatta alla domenica era: “Seo stai a Messa sta mattina?”. Alla quale veniva aggiunta l’affermazione perentoria: “Vardè che a stà col Signor no se sbaglia mai.” Insomma la vita cristiana era a fondamento e a orientamento di tutta esistenza.
Impariamo ad ascoltare di più i nostri anziani
e soprattutto a mettere in pratica i loro insegnamenti.
don Natale
24 GENNAIO 2021
UNA COMUNITÀ FERITA
Siamo una comunità ferita questa di Concordia che vive il dramma di una famiglia distrutta
dalla violenza, quella di tre bambini diventati improvvisamente orfani, di una giovane mamma
uccisa barbaramente e di un marito in carcere. Di fronte a questa tragedia ci possono essere
vari tipi di reazioni.
La prima immediata è quella della compassione di fronte alla desolazione della morte e del
fatto che tre giovani vite sono così profondamente segnate dalla violenza vista e vissuta con gli
occhi innocenti di bambini, una ferita che avrà bisogno di tanta cura di amore per rimarginare.
Un sentimento poi di sgomento e di incredulità, si pensava che certe cose non potessero
succedere da noi in mezzo alle nostre case e fuori dei nostri giardini. Invece dobbiamo, con
grande tristezza prendere atto che è successo qui tra di noi, con persone della porta accanto.
Ancora un rigurgito di campanilismo vedendo la nazionalità delle persone coinvolte e così,
con una certa supponenza, si accusa in queste persone la loro mentalità, il loro modo di vedere
e vivere il rapporto con il mondo femminile e la superiorità maschilista come causa di questi
comportamenti delittuosi. Bisogno invece rendersi conto che la violenza alberga anche nei
nostri ambienti più strettamente italiani e che anzi risolvere i conflitti con la prepotenza
omicida della forza è ormai purtroppo patrimonio di questa nostra società. Affiora anche una
detestabile curiosità che vuol sapere, vuol vedere, vuole conoscere particolari e retroscena, e
si schiera subito da una parte o dall’altra facendo intendere che si sanno particolari e si
insinuano sospetti che se non giustificano ci portano a “capire” il perché di certi
comportamenti. Invece di riconoscere che c’è una magistratura che è incaricata di indagare e
di verificare per giungere a un giudizio secondo la legge, non spetta a noi prendere il posto di
arbitri giudicanti o costruttori di scenari su supposizioni, sul sentito dire, sul pettegolezzo,
questa è curiosità morbosa e crudele. E c’è l’atteggiamento che si pone di fronte a questa
tragedia famigliare con grande rispetto e prima di giudicare si lascia interrogare da essa per
trarre alcuni insegnamenti fondamentali di vita:
- La violenza sia la violenza verbale che la violenza fisica è sempre portatrice di sofferenza
e di dolore. C’è da chiederci se anche noi con i nostri giudizi, atteggiamenti, comportamenti
non siamo e non siamo stati anche noi fautori di violenza e di istigazione alla violenza. - Risulta con grande evidenza l’importanza del rapporto famigliare e coniugale che deve
essere improntato al reciproco rispetto e fondato sulle tre semplici e significative
indicazioni che Papa Francesco ripete spesso come guida alla vita famigliare.
Permesso: che pone il rispetto per l’altro e la pari dignità della persona come premessa
fondante ogni relazione affettiva.
Grazie: che considera l’altro come uguale a se stesso e non schiavo o dipendente a nostro
servizio.
Scusa: atteggiamento di colui che riconosce i propri errori e sa che solo la riconciliazione nel
perdono può rimettere in circolo di nuovo l’amore. - Come credenti è fondamentale in questo momento la preghiera, la preghiera personale e
soprattutto la preghiera in famiglia in quella che con termine molto bello si chiama “chiesa
domestica”. Dove si impara ad amare Dio e inDio ad amarci tra di noi. A coltivare relazioni
di amichevole cortesia con i vicini e di aiuto e collaborazione vicendevole.
Siano una Comunità ferita perché questa tragedia ci tocca tutti e tutti ci coinvolge, ci interpella
e ci spinge all’azione e non solo alla denigrazione. Eleviamo con confidente abbandono in Dio
una preghiera: “Signore aiutaci a prenderci a cuore la sorte di questi tre bambini orfani,
apri le porte del tuo cielo a questa mamma e tocca il cuore di questo marito perché il
silenzio del carcere lo aiuti a capire il male che ha fatto e lo riporti sulla via del bene”
Ps: Ho firmato con tanta tristezza questo pezzo.
don Natale
17 GENNAIO 2021
ANCHE I MOMENTI BUI SONO IL TEMPO PER LA LODE
«Non solo quando la vita ci ricolma di felicità, ma soprattutto nei momenti difficili» e bui. È anche quello il tempo della lode». Non ha dubbi Papa Francesco, che nella mattina di mercoledì 13 gennaio, all’udienza generale ha dedicato la catechesi all’importanza di lodare Dio «anche quando il cammino si inerpica in salita».
Stiamo vivendo anche noi in tempi difficili e bui, e a renderli ancora più intricati e difficili, perché non bastava la pandemia, ci si mettono anche gli uomini con una crisi politica che confonde e sconcerta soprattutto perché non se ne vedono lo sbocco e le reali motivazioni. Non è questo il luogo per fare considerazioni di carattere politico, ma per un richiamo alla famosa espressione che essendo tutti sulla stessa barca dobbiamo, se vogliamo salvarci, remare tutti nella stessa direzione. Sconcerto e rammarico perché questa nostra situazione di pandemia non ci ha insegnato niente e anzi ha rinforzato ancora di più i nostri egoismi e le nostre meschine rivalse personali, ognuno alla fine pensa solo a se stesso e ai propri interessi. A questo punto mi pare importante accogliere l’invito che ci viene da Papa Francesco e ritornare con sincerità e verità alla preghiera imitando l’esempio di Gesù per poter imparare come attraverso la salita faticosa della vita nei momenti di difficoltà si possa arrivare a vedere un panorama nuovo, un orizzonte più aperto. Impariamo così che lodare con la preghiera è come respirare ossigeno puro: ti purifica l’anima, ti fa guardare lontano, non ti lascia imprigionato nel momento buio delle difficoltà. Il Papa cita l’esperienza di san Francesco d’Assisi, egli così si esprime: “C’è un grande insegnamento in quella preghiera che da otto secoli non ha mai smesso di palpitare, che San Francesco compose sul finire della sua vita: il “Cantico di frate sole” o “delle creature”. Il Poverello non lo compose in un momento di gioia, di benessere, ma al contrario in mezzo agli stenti. Francesco è ormai quasi cieco, e avverte nel suo animo il peso di una solitudine che mai prima aveva provato: il mondo non è cambiato dall’inizio della sua predicazione, c’è ancora chi si lascia dilaniare da liti, e in più avverte i passi della morte che si fanno più vicini. Potrebbe essere il momento della delusione, di quella delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, in quell’istante buio prega. Come prega? “Laudato si’, mi Signore…”. Prega lodando. Francesco loda Dio per tutto, per tutti i doni del creato, e anche per la morte, che con coraggio chiama “sorella”, “sorella morte”. Questi esempi dei Santi, dei cristiani, anche di Gesù, di lodare Dio nei momenti difficili, ci aprono le porte di una strada molto grande verso il Signore e ci purificano sempre. La lode purifica sempre. I Santi e le Sante ci dimostrano che si può lodare sempre, nella buona e nella cattiva sorte, perché Dio è l’Amico fedele. Questo è il fondamento della lode: Dio è l’Amico fedele, e il suo amore non viene mai meno. Sempre Lui è accanto a noi, Lui ci aspetta sempre. Nei momenti difficili e bui, troviamo il coraggio di dire: “Benedetto sei tu, o Signore”. Lodare il Signore. Questo ci farà tanto bene. Chiediamo al Signore una fede grande per guardare la realtà con lo sguardo di Dio, e una grande carità per accostare le persone con il suo cuore misericordioso.
Su di noi e sulle nostre famiglie, sulla nostra Unità Pastorale concordiese, scenda la benedizione del Signore,
e la nostra preghiera accompagni, nella lode, ogni nostra giornata.
don Natale
10 GENNAIO 2021
SIAMO IN ZONA GIALLA, ARANCIONE O IN ZONA ROSSA?
Un tempo, specialmente i contadini appena alzati al mattino dopo aver fatto il loro bel segno di Croce e salutato il Signore Dio, aprivano i balconi e guardavano il cielo e comunicavano: “Incuoi el fa bel, oppure: “ l’è drio che piouf, o anche: “sta matina l’è un caigo che no se viot pi in là del nas”, e invece: “l’è freit che l’ha da iesi un mus ingeat sul punt…” .
Al tempo del coronavirus la cosa che ci si chiede al mattino è di che colore siamo oggi giallo, arancione o rosso? Ormai dobbiamo abituarci a questo tipo di linguaggio e classificazione di colori che ci indicano cosa è possibile fare e cosa non si può fare e quali sono le regole da seguire. Anche la vita pastorale è tenuta, e giustamente, a rispettare le indicazioni e le limitazioni che vengono imposte e cercare di adeguare ad esse le proposte pastorali oltre che le celebrazioni liturgiche. Ora dopo le festività natalizie ci troviamo, come ci eravamo promessi, a fare il punto della situazione prima dell’inizio della Quaresima che quest’anno cade proprio il 17 di febbraio che è la festa dei Ss. Martiri (su indicazione del Vescovo la ricorrenza sarà anticipata a martedì 16 febbraio).
Non vi nascondo che speravo che avremmo avuto “un tempo migliore” e invece siamo costretti a fare i conti con un, se è possibile, aggravamento della situazione della pandemia. Verremo dunque in queste settimane a proporre incontri con i vari gruppi di genitori per accordarci sul prosieguo del catechismo e sulla celebrazione dei sacramenti cercando di ipotizzare non solo le date ma anche le modalità per la preparazione e la celebrazione.
Abbiamo anche da incontrarci insieme con i vari Consigli Pastorali dell’Unità Pastorale per delle scadenze e le possibili proposte per il tempo della Quaresima e di Pasqua.
Mi preme però anche dire, come abbiamo più volte ricordato, che la sofferenza di questi tempi ci può essere utile anche per prendere delle decisioni che era necessario avviare da tempo, ma che non avevamo il coraggio di assumere perché esse comportano dei cambiamenti che vanno contro le consuetudini la trazione del “si è sempre fatto così” senza considerare che le situazioni e il complesso della società non è più così. Mi rendo conto che questo può creare difficoltà, sofferenza e anche scombussolamento e disgusto eppure come ci scrive il Vescovo: “Siamo consapevoli che il coronavirus ha acuito un cambiamento d’epoca che era già in corso e non si può più tornare indietro e rifarci a modelli pastorali precedenti. E’ giunto il momento propizio per rileggere i segni dei tempi e per effettuare un vero discernimento comunitario. Credo – continua il Vescovo – sia giunto il tempo di mettere in pratica con coraggio scelte e decisioni per il bene del cammino di rinnovamento personale e della vita pastorale della comunità”.
Così ci mettiamo in cammino, dopo le festività, lasciamoci avvolgere ancora dalla luce di Betlemme e sentiamo rivolto anche a noi il messaggio dell’Angelo ai pastori: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo- oggi è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore”. Avanti allora, nella luce del Signore Gesù, sorretti dalla materna intercessione di Maria Santissima, e confortati dalla presenza di San Giuseppe divino custode di Gesù che ci protegge e si prende cura di noi in quest’anno a lui dedicato. A lui rivolgiamo la preghiera di papa Francesco:
“Glorioso San Giuseppe,
il cui potere sa rendere possibili le cose impossibili,
vieni in nostro aiuto in questi momenti di angoscia e difficoltà.
Prendi sotto la tua protezione le situazioni tanto gravi e difficili che ti affidiamo,
affinché abbiano una felice soluzione.
Nostro amato Padre, poiché tu puoi tutto presso Gesù e Maria,
mostraci che la tua bontà è grande quanto il tuo potere. Amen”.
don Natale
3 GENNAIO 2021
ADDIO 2020… BENVENUTO 2021!
Nel ricordare quest’anno che finisce, e nel salutare il nuovo anno che arriva non ho trovato modo migliore che riprendere alcune frasi di papa Francesco che ci aiutano a raccogliere il buono dell’anno passato e a guardare con impegno e speranza all’anno che viene.
- Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti.
- «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te.
- Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri
- Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
- Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
- Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede.
- Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
- In questo mondo provato dalla pandemia, la strada da seguire è quella della corresponsabilità perché “nessuno si salva da solo”.
- Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura». E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi”.
- In questo tempo difficile anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno. Guardiamoci intorno, guardiamo soprattutto a quanti sono nell’indigenza: il fratello che soffre, dovunque si trovi, il fratello che soffre ci appartiene. È Gesù nella mangiatoia: chi soffre è Gesù. Pensiamo un po’ a questo. Camminiamo pertanto verso la Notte Santa e attendiamo il compiersi del mistero della Salvezza”
Possa la strada alzarsi per venirti incontro. Possa il vento soffiare sempre alle tue spalle.
Possa il sole splendere sempre sul tuo viso e la pioggia cadere soffice sul tuo giardino.
E fino a che non ci incontreremo di nuovo, possa Dio tenerti nel palmo della Sua mano.
“Dio onnipotente e misericordioso,
guarda la nostra dolorosa condizione:
conforta i tuoi figli e apri i nostri cuori alla speranza,
perché sentiamo in mezzo a noi la tua presenza di Padre. Amen“
Buon 2021!
don Natale
27 DICEMBRE 2020
UN VACCINO CI SALVERA’
Sono arrivate, scortate dalla polizia, il giorno di Natale le prime dosi del vaccino anti Covid, sono un segno di speranza per debellare la pandemia.
Il papa nel suo messaggio di Natale ha subito chiesto con puntuale insistenza:” Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!
Non possiamo lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle. Non posso mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità. E già all’inizio della pandemia aveva ammonito: “La misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente. Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me“.
Tutti ci auguriamo che il vaccino possa veramente averla vinta sul virus e che questa vittoria sia aperta a tutti i popoli. Ma vorrei che ci aiutassimo a fare una riflessione un po’ più ampia a partire da una considerazione che dovremmo avere imparata da questi mesi di sofferenza e di prova c’è un virus pericoloso e che si è insinuato nella nostra società e contro il quale dobbiamo affinare tutte le nostre forze spirituali dalla preghiera, al discernimento, all’ascolto – confronto con la Parola di Dio, ad una vera condivisione della fraternità universale; quel “Fratelli tutti” che è il messaggio della più recente enciclica di Papa Francesco. Il virus che ha intaccato la nostra società ha vari nomi ma sostanzialmente si raccoglie nella indicazione principale che è egoismo che passa sopra ogni persona, che guarda solo ai propri interessi e distrugge tutto in nome della propria persona creando ogni ingiustizia. La pandemia del coronavirus può essere invece l’occasione per “risanare le ingiustizie” e “rimuovere le disuguaglianze”.
Nella corsa alla ripresa del post-emergenza il rischio è infatti quello di “selezionare le persone, scartare i poveri, immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Così con forza dobbiamo affermare che La risposta alla pandemia del coronavirus deve essere all’insegna della solidarietà.
Esiste infatti un virus più pericoloso del Covid, ed è quello dell’indifferenza reciproca. Ancora una volta vengono di attualità le parole di papa Francesco quando ci ammoniva che peggiore di questa crisi della pandemia sarebbe il dramma di sprecarla nell’indifferenza. Ecco che allora abbiamo bisogno che la scienza ci doni un vaccino potente per sconfiggere la pandemia della malattia del Coronavirus, ma abbiamo bisogno che tutte le forze spirituali trovino il vaccino per sconfiggere la pandemia dello spirito che ha infettato le nostre società e ciascuno di noi con un potente vaccino della solidarietà, della condivisione, della benevolenza reciproca nella fraternità universale.
Ecco il vaccino che ci salverà nel corpo e nello spirito.
Nella gioia e nella festa del Natale anche noi allora continuiamo a pregare e ad adoperarci perché in questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità. E Dio ce la offre donandoci il suo Figlio Gesù: non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti… No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella. E questo vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni.
Si un vaccino ci salverà e sarà quello dell’amore fraterno
che Gesù è venuto a portare a tutti nel suo Natale.
don Natale
20 DICEMBRE 2020
LETTERA A GESU’ BAMBINO
Caro Gesù Bambino, mancano ormai pochi giorni alla festa del Natale e ho pensato di rivolgermi a Te con questa letterina che viene dal cuore in questo tempo tanto difficile e tanto faticoso.
Gesù Bambino grazie perché, almeno Tu, non ci fai mancare la tua presenza e il tuo aiuto. Vorrei chiederti alcune cose che sento sempre necessarie, ma specialmente in questi nostri tempi.
Gesù Bambino non lasciare che ci venga rubata la gioia. Se questo Natale non sarà come il solito, non per questo deve essere triste. Anzi forse adesso ci rendiamo conto che tante cose che pensavamo indispensabili per il Natale adesso ci accorgiamo che non sono proprio necessarie, ma capiamo che il Natale vero sei Tu che vieni tra noi per salvarci, sei Tu la vera gioia che nessuno ci può togliere.
Gesù Bambino non lasciare che ci venga rubata la speranza. Ti sei accorto anche tu Gesù che man mano che passano i giorni la speranza di uscire presto da questa pandemia diventa sempre più debole, e abbiamo bisogno di attingere alla vera Speranza che ha un volto e un nome Cristo Gesù morto e risorto. Fa’ che non perdiamo di vista quella che è la fonte della vera speranza essa viene da Betlemme, è dalla luce che viene da quella grotta che noi siamo illuminati.
Gesù Bambino non lasciare che ci venga rubata la fede. Con le varie limitazioni, le paure e le difficoltà forse anche la fede si è indebolita e intristita. Gesù rafforza la nostra debole fede, fa’ che si fondi sulla roccia solida e sicura che sei Tu perché le “burrasche” di questi tempi non la facciano crollare miseramente.
Gesù Bambino non lasciare che ci venga rubato il sorriso dei bambini essi sono coloro che fra tutti soffrono di più perché non capiscono tutto questo. Gesù fa’ che i bambini non perdano il sorriso semplice e bello della loro età, abbiamo bisogno che le nostre case, le nostre piazze, e anche le nostre chiese risuonino della presenza festoso dei nostri bambini.
Gesù Bambino non lasciare che ci rubino il volto fresco e spensierato dei ragazzi e dei giovani.
Il virus della pandemia ha intaccato anche loro soprattutto nell’entusiasmo e nella voglia di fare migliore il mondo. Non lasciare che divengano preda dell’immobilismo e della pigrizia, ma che si scuotano a reagire perché se i giovani non bruciano di entusiasmo il mondo diventa di ghiaccio.
Gesù Bambino non lasciare che ci rubano la responsabilità e la maturità costruttiva delle donne e degli uomini adulti. La preoccupazione per la famiglia, per il lavoro, per il futuro non mortifichi la loro voglia di essere artefici di impegno e di fantasia per creare un mondo diverso e più umano.
Gesù Bambino non lasciare che ci rubano la saggezza degli anziani. La loro esperienza ci aiuta a vivere bene facendo il bene. Tanti se ne sono andati in solitudine. Sappiamo però che tu li hai accolti nell’abbraccio del tuo amore alla fine del loro pellegrinaggio su questa terra. Non lasciare che il mondo si impoverisca, abbiamo bisogno di tante nonne e tanti nonni perché ci trasmettano con la saggezza e la genuinità della loro vita la bellezza della fiducia nel Signore.
Gesù Bambino non lasciare che ci rubano la carità e l’amore verso il prossimo perché solo con l’impegno nel volontariato, con la gioia del servizio gratuito, con la bontà della solidarietà e della condivisione, con la bellezza di volersi bene e di aiutarsi tra di noi, possiamo salvarci tutti e salvarci tutti insieme.
Gesù Bambino, non lasciare che ci rubino il tuo Natale,
quello che gli Angeli hanno annunziato agli uomini amati dal Signore.
E allora sì e, nonostante il Covid 19, sarà un Buon Natale!
don Natale
13 DICEMBRE 2020
“QUANDO LA PAURA BUSSA ALLA PORTA
MANDA AD APRIRE LA SPERANZA”
Questa frase mi pare ci aiuti ad affrontare, in maniera impegnata e valida le difficoltà e la grande prova che stiamo vivendo in questo tempo del Natale che sarà certo diverso dal solito, ma non dobbiamo permettere che ci venga tolta né la gioia né la speranza che Gesù venendo tra noi ci ha portato e non solo a noi ma a tutta l’umanità di ieri, di oggi e di sempre.
Ho letto da una rivista e dai giornali che i ragazzi e i giovani interrogati su come sarà questo Natale i commenti più benevoli sono: “Sarà un Natale triste”.
Ma forse dovremmo interrogarci dove stia l’autenticità e la bellezza del Natale.
Se guardiamo alle limitazioni non ci sarà permesso come prima di fare grandi tavolate di parenti e amici per festeggiare il Natale, ma questo ci potrà permettere però di passare il Natale con i componenti della nostra famiglia e farci recuperare l’autenticità delle relazioni famigliari e il rapporto all’interno di essa. Non ci succeda di rimpiangere questi rapporti quando non ci saranno più.
Se i divieti degli spostamenti ci obbligheranno ad una più stanziale presenza sul territorio, la fantasia e i moderni mezzi di comunicazione sapranno suggerirci nuovi modi per farci presenti con le persone e raggiungerle in altro modo per dimostrare loro il nostro affetto, la nostra amicizia, il nostro ricordo.
Se saranno più limitate le possibilità di esprime coralmente le festività per evitare gli assembramenti e non ci sarà permesso di esprimerci con abbracci e baci vorrà dire che ci impegneremo a valorizzare di più il significato che le feste esprimono e a viverle con maggiore consapevolezza e verità.
Se anche le celebrazioni del Natale non ci permetteranno le chiese affollate, e non potremmo gustare la presenza dei vari cori che cantano il Natale e ci sarà chiesto esprimere a distanza lo scambio degli auguri, vorrà dire che ci impegneremo a dare più autenticità e verità agli auguri anche a distanza, cercando di trasmettere con l’entusiasmo anche il significato dell’augurio.
Insomma, se il rispetto delle norme indicate, la incertezza del futuro, la tristezza per come è diverso questo Natale, se anche la paura vogliono bussare alla nostra porta, mandiamo la speranza ad aprire, la speranza che ha un nome e un volto ben preciso Gesù Bambino venuto tra di noi per liberarci proprio dalla paura e farci sentire amati e benedetti dall’ amore di Dio Padre.
Certo sarà un Natale diverso, ma non dovrà essere un Natale triste, perché l’angelo annunciando la nascita di Gesù come ai pastori ripeterà anche a noi :«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Anche noi mettiamoci dunque in cammino, senza indugio, mancano pochi giorni, e troveremo, come i pastori, Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, anche noi riferiamo che quel Bambino è il Figlio di Dio venuto a salvarci.
“I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio
tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.
Anche noi glorifichiamo e lodiamo Dio perché nonostante tutto anche quest’anno nessuno potrà rubarci il Natale quello vero,
quello che ci annuncia il vangelo,
quello che anche quest’anno aprirà la porta della nostra casa,
è sarà vera gioia, se noi lo vogliamo!
don Natale
6 DICEMBRE 2020
“BENEDETO FIOL”: BENEDETTI DA DIO PER BENEDIERE
Abbiamo iniziato il tempo di Avvento, un tempo benedetto da Dio per la nostra salvezza. IL termine benedetto è parola duplice: bene-dicere; dire-bene, esso racchiude in sé benevolenza e compassione. Quante volte avremmo sentito ripeterci: “Benedeto fiol” che esprime in sé sia l’amorevolezza, sia la compassione-misericordia di chi ce lo diceva. Così anche tutte le volte che Dio benedice riconosce che ogni opera delle sue mani è buona e bella e Dio benedice così oltre alle creature anche l’uomo perché Dio ci ama e continua a sperare per noi il bene. Ma la grande, la più grande benedizione di Dio è Gesù Cristo, Egli è il grande dono, la grande benedizione di Dio per l’umanità. E questa Benedizione ha portato a tutti gli uomini la salvezza e noi lo ricordiamo nel Natale. Gesù è la Parola eterna con cui Dio Padre ci benedice. Parola fatta carne e offerta per noi sulla Croce. Che bello è riconoscere che siamo benedetti dal Padre in Gesù Cristo.
San Paolo proclama con commozione il disegno d’amore di Dio e dice così: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,3-6). L’Avvento ci guida alla conoscenza di tutto questo, tutti noi, nonostante i nostri limiti e i nostri peccati, troviamo sempre un Dio che non si vergogna di prenderci come figli e non si pente di amarci e continua a chiamarci con tutto l’affetto e nella sua misericordia “Benedeto fiol” A Dio che non si stanca mai di benedire anche noi rispondiamo benedicendo:
Benedire prima di tutto Dio, benedicendo Colui che è fonte di ogni benedizione noi ci rivolgiamo a lui con la preghiera, anzi così ogni preghiera dovrebbe sempre incominciare con “Benedetto Dio che sei fonte di ogni benedizione”.
Benedire in Dio gli altri, tutti gli altri perché tutti sono nostri fratelli e sorelle in Cristo. Da qui nasce la virtù cristiana della mitezza, della benevolenza e del perdono. Quanto bisogno c’è nel mondo di benedizione, di sentirci benedetti e amati accolti con dolcezza e carità dagli altri. L’Avvento susciti in noi questi buoni sentimenti di bene, proviamo, almeno proviamo a fare il bene, proviamo ad accoglierci gli uni gli altri con bontà, proviamo ad andare d’accordo in famiglia e ad avere buoni rapporti con il vicinato, proviamo a benedire tutti e ciascuno, sempre benedire mai, mai maledire nessuno.
Benedire anche questo tempo in cui ci è dato di vivere. Questo tempo è tempo abitato da Dio, Egli è ancora, come ci ricorda il Natale, l’Emanuele il Dio con noi. E in questo tempo benedetto dalla presenza del Signore cercare di essere uomini e donne di speranza, di accogliere tutto il bene che troviamo e incontriamo e ce ne é tanto basta avere occhi per vederlo. Se tutti insieme invece di sempre lamentarci, di sempre essere contrari, di sempre vedere il male sapessimo vedere ed apprezzare il bello e il buono che esiste, saremmo anche più contenti e anche tutto il mondo brillerebbe felice, pur nelle difficoltà e nelle fatiche. L’Avvento disponga il nostro spirito a pulire i nostri occhi perché li sappiamo aprire limpidi a vedere il bene.
“Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno Gesù”. Questa è stata forse la prima preghiera che abbiamo ascoltato e poi imparato ed è preghiera che si rivolge a Maria e la benedice. Nel cammino dell’Avvento Maria è la figura di riferimento più importante e noi la celebriamo nella solennità dell’Immacolata. Ci guidi lei la “Tutta Bella” a riscoprire la bellezza di sentirci figli amati da Dio, figli benedetti dalla grazia del Signore. Anche lei ci ripete con dolcezza e maternamente: “Benedeto fiol”.
don Natale
29 NOVEMBRE 2020
MARANATHA’, VIENI SIGNORE GESU’!
Con questa domenica inizia il tempo dell’Avvento, tempo di grazia e di speranza nell’attesa operosa per preparare la strada a Gesù che viene tra noi. Mi vengono in mente alcuni versi di una poesia di Padre David Maria Turoldo sull’Avvento che porta il titolo Ballata della speranza. La poesia si apre con questi versi:
Tempo del primo avvento, tempo del secondo avvento, sempre tempo d’avvento:
esistenza, condizione d’esilio e di rimpianto.
Anche il grano attende anche l’albero attende
attendono anche le pietre tutta la creazione attende.
Tempo del concepimento
di un Dio che ha sempre da nascere.
Più prosaicamente vorrei anch’io all’inizio di questo Avvento 2020 esprimere qualche sentimento in questo tempo così carico di tensione e di incertezze e però anche di desideri di vita rinata e di bisogno di festa e di aria pulita da respirare a pieni polmoni. Ho sentito una riflessione che mi ha fatto pensare e mi ha fatto molto bene ascoltare. Si discuteva sull’opportunità o meno di aprire gli impianti sciistici e delle vacanze in montagna. L’intervistato partiva in maniera diretta facendo una sua riflessione dicendo che vedeva positiva questa sospensione perché così ci aiutava a riportare il Natale nella sua giusta dimensione spirituale e dava all’Avvento il significato di un di tempo propizio per ritornare alla sobrietà vigilante dell’incontro con l’Emanuele il Dio con noi. Allora seguendo anche quello che scrivono i nostri vescovi nel messaggio per l’Avvento vorrei che per me come per tutti questo Avvento ci doni la possibilità e l’impegno per recuperare il tempo della preghiera. Una preghiera che avrà di volta in volta espressioni diverse. A volte potrà avere i connotati dello sfogo: «Fino a quando, Signore…?» (Sal 13). Altre volte d’invocazione della misericordia: «Pietà di me, Signore, sono sfinito, guariscimi, Signore, tremano le mie ossa» (Sal, 6,3). A volte prenderà la via della richiesta per noi stessi, per i nostri cari, per le persone a noi affidate, per quanti sono più esposti e vulnerabili: «Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio» (Sal 16,1). Altre volte, davanti al mistero della morte che tocca tanti fratelli e tante sorelle e i loro familiari, diventerà una professione di fede: «Tu sei la risurrezione e la vita. Chi crede in te, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in te, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Altre, ancora, ritroverà la confidenza di sempre: «Signore, mia forza e mia difesa, mio rifugio nel giorno della tribolazione» (Ger 16,19). Saremo così capaci di scorgere i segni della risurrezione di Cristo, sui quali si fonda la nostra fiducia nel futuro. Al centro della nostra fede c’è la Pasqua, cioè l’esperienza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola, ma sono trasfigurate dalla risurrezione di Gesù. Ecco perché l’Avvento è tempo di speranza. Non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana. Voglio ora terminare come ho cominciato con i versi conclusivi della poesia di Turoldo.
… quando appunto Egli dirà “ecco, già nuove sono fatte tutte le cose”
allora canteremo, allora ameremo, allora, allora…
MARANATHA’, VIENI SIGNORE GESU’!
«Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione,
perseveranti nella preghiera». (Rm 12,12)
Buon Avvento del Signore Gesù!
don Natale
22 NOVEMBRE 2020
Madonna della Salute, prega per noi!
Si conclude con questa domenica, solennità di Cristo re dell’Universo, l’anno liturgico e ci prepariamo a iniziare, con l’avvento, un nuovo anno nel Signore Gesù. La saggezza raccomanda che alla fine di un periodo si faccia un po’ di verifica e si tracci un bilancio del periodo trascorso. Quello che immediatamente ci viene da dire è che non vediamo l’ora che quest’anno finisca presto perché direttamente o indirettamente siamo stati tutti “contagiati” dal quel virus che abbiamo imparato a conoscere con il nome di Covid 19. Esso è penetrato subdolamente in oggi ganglio della nostra vita, delle nostre attività e l’ha tutta infestata e segnata di tristezza, smarrimento e paura e sinceramente non abbiamo bisogno di incupirci ancora di più con tanti ragionamenti e commenti, già ci bastano e ci avanzano quelli che con insistenza martellante ci propinano stampa e mezzi di comunicazione, basta! Usiamo la prudenza, il rispetto delle regole, la carità fraterna e proviamo ad andare avanti con fiducia. Mi vengono in aiuto da una parte la festa della Madonna della Salute del 21 novembre e l’ultima catechesi del papa Francesco sulla preghiera che prende come punto di riferimento la Vergine Maria e la chiama Donna Orante: “Donna che prega”. Sono andato a vedere un po’ di storia della Madonna della Salute che è particolarmente legata a Venezia e quindi anche alle nostre zone.
La festa della Madonna della Salute trae origine da un avvenimento di quasi quattro secoli fa. Esattamente nell’anno 1630 quando la Repubblica Serenissima fece voto alla Vergine Maria di erigere una nuova chiesa. Fu intitolata a “S. Maria della Salute” e affidata per la costruzione a Baldassarre Longhena. Fu eretta a conclusione della drammatica prova rappresentata dalla forte pestilenza che minacciava di distruggere la città lagunare. Tra il 1630 e il 1631, infatti, una grande peste colpì duramente la popolazione veneziana (80.000 morti su 150.000 residenti). Ciò suggerì la costruzione dell’imponente chiesa barocca per sciogliere il voto fatto dal Doge e dal Patriarca di Venezia per la salvezza della città e la liberazione dal male. Si racconta che la peste fu portata a Venezia da un ambasciatore del conte di Mantova (dove i Lanzichenecchi avevano appena importato il morbo) nel giugno 1630. La progressione del male fu inevitabile e rapidissima. Il Patriarca Giovanni Tiepolo e il Doge Nicolò Contarini ordinarono preghiere e che si compisse per 15 sabati una processione penitenziale in tutta la città e si innalzasse un tempio “alla Vergine Santissima, intitolandola Santa Maria della Salute per chiedere la fine del flagello. Un voto che ogni anno si ripete dai veneziani e da tanti che si uniscono a loro.
Nella sua catechesi del mercoledì papa Francesco così si è espresso nei confronti della preghiera di Maria: “La preghiera sa ammansire l’inquietudine. Questa inquietudine ci fa male, e la preghiera sa ammansire l’inquietudine, sa trasformarla in disponibilità. Quando sono inquieto, prego e la preghiera mi apre il cuore e mi fa disponibile alla volontà di Dio. La Vergine Maria, ha saputo respingere la paura, pur presagendo che il suo “sì” le avrebbe procurato delle prove molto dure. Se nella preghiera comprendiamo che ogni giorno donato da Dio è una chiamata, allora allarghiamo il cuore e accogliamo tutto. Questo è l’importante: chiedere al Signore la sua presenza a ogni passo del nostro cammino: che non ci lasci soli, che non ci abbandoni nella tentazione, che non ci abbandoni nei momenti brutti. Quel finale del Padre Nostro è così: la grazia che Gesù stesso ci ha insegnato di chiedere al Signore”. Impariamo da Maria a pregare e a chiedere la sua intercessione in questo tempo di prova e di grande turbamento. Invochiamola con fiducia e affetto di figli: “Madonna della Salute prega per noi”
PS.: Nel tempo d’avvento don Federico ci farà dono ogni settimana di una riflessione sulla Parola di Dio che noi condivideremo davanti a Gesù Eucaristia dalle 20,30 alle 21,30. Per dare la possibilità a tutti di partecipare anche a quelli che non se la sentono di uscire di casa tutto sarà trasmesso in streaming.
Questa settimana l’appuntamento sarà per MERCOLEDì 25 NOVEMBRE IN CATTEDRALE ORE 20,30.
don Natale
15 NOVEMBRE.
GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO E
IV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
Credo che tutti quando abbiamo sete, specialmente se accaldati e stanchi, dopo aver bevuto un bel bicchiere d’acqua abbiamo sclamato: “Quando si ha sete niente è più buono che un bel bicchiere di acqua fresca”. Ed è sul dono dell’acqua come benedizione di Dio che la Chiesa italiana quest’anno ha indicato il tema della Giornata di Ringraziamento. L’acqua come dono prezioso sia per la vita umana che per quella degli animali e dei vegetali. Per questo l’acqua è un bene che deve essere messo a disposizione di tutti. Essa è anche indispensabile oltre che per il sostentamento anche per la dignità e la pulizia della persona e anche per la pulizia dell’aria, insomma l’acqua ci fa vivere e ci fa vivere bene. Gli agricoltori e i lavoratori della terra sanno bene che l’acqua è indispensabile per i loro raccolti e come sento dire: “Te pol bagnà fin che vuol, ma non l’è mai come chea che a ven dall’alto”. Così giustamente la Chiesa Italiana ha titolato questa giornata del ringraziamento: “L’acqua, benedizione di Dio”. E noi oggi ci uniamo tutti al ringraziamento dei contadini e degli agricoltori per il buon raccolto di quest’anno. Del buon andamento della stagione di quest’anno infatti possiamo essere grati al Buon Dio chiedendo anche che l’acqua della sua misericordia ci purifichi e ci liberi dalla pandemia del Covid 19.
Oggi poi, indetta da papa Francesco, c’è anche la IV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI, che ha come titolo: “Tendi la tua mano al povero”. Nel suo messaggio per questa giornata scrive papa Francesco:” Quanto è attuale questo antico insegnamento anche per noi! Infatti la Parola di Dio oltrepassa lo spazio, il tempo, le religioni e le culture. La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto. Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non le è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità. In questo cammino di incontro quotidiano con i poveri ci accompagna la Madre di Dio, che più di ogni altra è la Madre dei poveri. Possa la preghiera alla Madre dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata”.
Così anche ciascuno di noi è chiamato a tendere la propria mano verso chi è nel bisogno e per un attimo abbassiamo la mascherina e mostriamo che nel tendere la mano offriamo anche un sorriso di saluto e di benevolenza amichevole e fraterna. don Natale
8 NOVEMBRE. DOBBIAMO ESSERE MOLTO ATTENTI E RISPETTOSI
Nell’udienza di mercoledì 4 novembre papa Francesco così si esprimeva invitando tutti ad essere rispettosi e responsabili davanti alle nuove regole per contrastare la pandemia: “Carissimi dobbiamo essere molto attenti alle prescrizioni delle Autorità, siano le Autorità politiche che le autorità Sanitarie per difenderci da questa pandemia. Offriamo al Signore questa distanza tra noi, per il bene di tutti e pensiamo, pensiamo tanto agli ammalati, a coloro che entrano negli ospedali, pensiamo ai medici, agli infermieri, le infermiere, ai volontari, a tanta gente che lavora con gli ammalati in questo momento: essi rischiano la vita ma lo fanno per amore del prossimo, come una vocazione. Preghiamo per loro”.
Anche se i pareri sono discordanti sull’efficacia di certe regole e la scienza dà risposte che non sempre fanno chiarezza, pur tuttavia un dato rimane certo: il Covid 19 è ancora presente e purtroppo ancora ben attivo. Non si tratta di fare del terrorismo psicologico ma di invitare tutti al buon senso. Rispettare i distanziamenti, usare bene le mascherine, lavarsi le mani ed evitare i contatti che non siano necessari. Direte come mai anche da questo foglio parrocchiale si ripropone quello che già ci viene martellato dai mezzi di comunicazione in continuazione? La risposta è che il rispetto di questi atteggiamenti son un atto di amore e di solidarietà che ci viene chiesto per gli altri e Gesù ha detto che quello che facciamo a servizio del bene dell’altro lo abbiamo fatto a lui.
E per quanto riguarda il nostro rapporto con il Signore attraverso quelle che sono le celebrazioni con la comunità? Anche qui cerchiamo di rispettare, e mi permetto di aggiungere con scrupolosità, tutte le indicazioni che ci sono state date e di non essere superficiali né di sfidare il virus pensando che non possa entrare in chiesa. Il virus non è né ateo né credente e agisce e si comporta secondo la sua natura libera ed indipendente e non guarda in faccia nessuno, per limitarne l’azione ci sono le regole atteniamoci ad esse.
La preghiera fatta insieme o da soli, in Chiesa o in altro luogo sta alla base della nostra vita cristiana e ci aiuta a mantenere oltre che un equilibrio spirituale anche un equilibrio umano perché ci aiuta a capire che in questa prova non siamo soli perché il Signore è sempre con noi. Per quanto riguarda la frequentazione in chiesa rimangono le regole di sempre e chi per motivi è impedito a partecipare (e i motivi sono da valutarsi da ciascuno con retta e illuminata coscienza) può mantenere la sua unione con il Signore pregando a casa e rimanere collegato con la comunità partecipando attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Stiamo osservando e se sarà necessario per permettere la partecipazione in presenza alla s. Messa di aggiungere in Cattedrale la s. Messa alle ore 11,00.
Una osservazione particolare riguarda i funerali, che sono e di questo va dato atto che sono momento molto partecipato di solidarietà umana e cristiana. Per coloro che non hanno la possibilità di trovare posto in chiesa rimane sempre la possibilità di seguire la celebrazione del funerale all’esterno tramite l’amplificazione.
Per quanto riguarda il catechismo pensiamo di avere rispettato al massimo le regole avendo anche dimezzato e raccolto in piccoli gruppi le presenze dei bambini delle elementari e dimezzato in due soli incontri il mese i ragazzi delle medie e delle superiori. Rimaniamo più che mai convinti che i bambini e i ragazzi hanno bisogno di questi momenti di incontro sia spiritualmente che umanamente. Per questo ringrazio tutti i catechisti e le persone che in oratorio danno con la loro opera di volontariato possibilità di usare i luoghi con tranquillità e sicurezza.
A volte noi esseri umani ci crediamo padroni di tutto, oppure al contrario perdiamo ogni stima di noi stessi, andiamo da una parte all’altra. La preghiera ci aiuta a ritrovare la giusta dimensione, nella relazione con Dio, nostro Padre, e con tutto il creato. È bello quando noi stiamo agitati, un po’ preoccupati e lo Spirito Santo ci trasforma da dentro e ci porta a questo abbandono nelle mani del Padre: “Padre, si faccia la tua volontà”. Riscopriamo, nel Vangelo, Gesù Cristo come maestro di preghiera, e mettiamoci alla sua scuola. Vi troveremo la gioia e la pace. don Natale
1 NOVEMBRE. “SI ISTI ET ISTAE, CUR NON EGO”
La frase di Sant’Agostino significa: se questi e quelle (sono diventati santi) perché non lo posso diventare anch’io? Questa domenica 1° novembre la chiesa celebra la Solennità di tutti i Santi, dei santi di cui celebriamo la festa durante l’anno, ma anche di quei che vengono chiamati “i santi della porta accanto”. Di tutte quelle persone, cioè, che vivendo accanto a noi hanno cercato di impostare la loro esistenza seguendo Gesù con la fedeltà al suo Vangelo. La santità è per tutti riguarda anche coloro che, pur non essendo cristiani, realizzano la loro vita in fedeltà alla coscienza dove, e a tutti, Dio scrive il bene.
A questo proposito ho trovato la storia di FERNANDO un giovane musulmano che vive nel villaggio di Kambedju nella Guinea Bissau, ed è in attesa di andare in Portogallo per un’importante operazione chirurgica. Da ragazzo e da giovane Fernando aveva frequentato la missione cattolica e di tanto in tanto ritornava dal missionario a trovarlo. “Un giorno – racconta il missionario – vedo arrivare Fernando alla missione con uno zaino in spalle e con le tasche rigonfie. Svuota le tasche e lo zaino erano piene di oggetti d’oro e d’ argento, carte di credito, soldi e altre cose preziose insieme a dei passaporti stranieri. Mi racconta che andando a raccogliere ferro vecchio con la sua carriola, per poi venderlo e così procurarsi da vivere, ha trovato, abbandonati dietro ad un cespuglio, degli zaini con dentro tutta questa refurtiva abbandonata lì non si sa perché né da chi. Mi ha detto. “Vedi padre io non possiedo nulla e tante volte non ho niente da mangiare. Ma ho ricordato quando mi avete detto quando studiavo qui, ho ricordato la parola di Gesù e non potevo tenermi tutte queste cose, le ho portate a te perché tu le porti alla polizia”. Fernando aveva scritto nella sua coscienza che quello che non è tuo non lo puoi prendere e lui, benchè poverissimo, così aveva fatto. Qualche giorno dopo si è presentato di nuovo alla missione e tutto contento mi ha detto:” Sono venuto a mostrarti la ricompensa che mi hanno dato gli stranieri che hanno avuto la refurtiva recuperata ecco sono 300 €. Poi toglie da esse 20 € e mi dice: “Questi mandali alla tua parrocchia in Italia che ha tanto aiutato il nostro villaggio anch’io voglio offrire qualcosa per dire grazie a loro.” Padre Davide conclude: “Di fronte a questo gesto inatteso sono messo in crisi, faccio fatica a trattenere le lacrime, lo abbraccio forte mentre mi risuonano in mente le parole di Fernando: – È Gesù che me lo ha insegnato”. Oggi quei 20 € sono sta messi in un quadro che sta sopra la cassetta per le offerte alla Caritas a ricordare a tutti che la parola di Dio seminata nel nostro cuore fruttifica opere di vera santità.
Sabato 10 ottobre ad Assisi è stato proclamato beato un ragazzo di 15 anni CARLO ACUTIS egli con un sorriso che conquistava diceva a tutti:” Io voglio andare in Paradiso diretto non voglio passare per il Purgatorio”. E così si era preparato un kit per diventare santo e questi erano i vari punti.
- Tenere sempre vivo il desiderio della santità
- Vivere ogni giorno la Messa e la Comunione
- Recitare ogni giorno il Rosario
- Nutrirsi di una razione giornaliera di Parola di Dio
- Trovare lo spazio per un po’ di silenzio di contemplazione e adorazione
- Celebrazione della confessione
- Rinunciare a qualcosa per donarlo agli altri.
Veramente c’è da chiedersi:
“Se questi e quelle, perché non anch’io?” (Sant’Agostino)
Al mondo c’è una sola tristezza: quella di non essere santi. E quindi una sola felicità: quella di essere santi. (Léon Bloy)
I santi appartengono a tutte le età e a ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione. (papa Benedetto XVI)
La santità non è un privilegio di alcuni, ma un obbligo di tutti, di voi e di me. ( S. Teresa di Calcutta)
Chiediamo che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi
e incoraggiamoci a vicenda in questo proposito.
Così condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere. (papa Francesco)
PROVIAMOCI… don Natale
25 OTTOBRE: AVVIO DEL’ANNO PASTORALE 2020-2021
Con domenica 25 ottobre inizia, per la nostra Unità Pastorale Concordiese, l’anno Pastorale 2020-2021. Ad indicarlo c’è un’Icona e un titolo: “Da Babele a Pentecoste”. La Bibbia ci racconta come Babele sia il simbolo della superbia e dell’autoreferenzialità dell’uomo che nel suo orgoglio di onnipotenza voleva costruire una torre per raggiungere Dio e prendere il suo posto, ma ha miseramente fallito. La Pentecoste invece è l’inizio della comunità dei credenti: lo Spirito Santo ha fatto del gruppo degli apostoli, timidi e paurosi, chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei degli entusiasti annunciatori e testimoni della bellezza e della gioia del Vangelo a tutti. Questo annuncio del TITOLO rapportato e attualizzato ai nostri tempi indica quello che il coronavirus ha fatto emergere con chiarezza. Abbiamo fatto esperienza che con tutte le nostre tecnologie più sofisticate, con tutte le nostre conoscenze più approfondite, con tutte le potenzialità economiche più ragguardevoli siamo deboli e fragili, ci siamo ritrovati così in una situazione di gravissima difficoltà nello smarrimento più assoluto e nell’angoscia più paurosa: inermi e impotenti. Così abbiamo dovuto riconoscere che la nostra vita non è immortale e che dobbiamo fare riferimento ad un piano diverso e più alto dove oltre la contingenza dell’oggi c’è una speranza più ampia e completa che da significato alla vita oltre la nostra esistenza mortale per una pienezza di vita che è per sempre e che si fonda sulla morte e risurrezione di Gesù Cristo il Vivente. “Da Babele a Pentecoste “indica dunque il cammino che ogni giorno siamo chiamati a fare dall’autosufficienza arrogante e presuntuosa del “io basto a me stesso”, al dono dello Spirito che è forza e potenza, che è fantasia e originalità, che è bellezza e giovinezza che ci indica che la vera gioia della vita è seguire il Signore e lasciare che lo Spirito guidi ed illumini il nostro cammino verso la salvezza eterna
L’ICONA è chiamata a narrare il tema dell’anno pastorale 2020-2021. Ad un primo sguardo subito vediamo la scena della Pentecoste come centrale: in essa c’è Maria circondata dagli apostoli in posizione e di preghiera e di movimento. Il dono dello Spirito è dono che mette in movimento e spinge fuori ad annunciare a tutti la salvezza portata da Gesù Cristo. Nella parte di sinistra si vede rappresentata la Torre di Babele e uomini che salgono, il cui volto è coperto dai mattoni che portano, il tutto è di un colore cupo e scuro come la tristezza che avvolge la scena. Indica la bruttezza della vita di chi ha posto tutta la fiducia in se stesso e ciò lo chiude al rapporto con Dio ma anche con gli altri espresso dalla impossibilità di comunicare poiché le loro lingue si sono tutte confuse. Sulla destra invece dei volti aperti di persone che contemplano con meraviglia e con riconoscenza l’efficacia del dono dello Spirito che è sceso come fiamma di fuoco a riscaldare e infiammare i cuori dei discepoli e di tutti noi, per questo:
1. Creiamo luoghi e occasioni di incontro, raccontarci l’esperienza vissuta, le nostre paure, la nostra fede e le speranze e prospettive future, per una ripresa della vita cristiana nelle nostre famiglie e nella nostra comunità̀. Potrà̀ essere una opportunità̀ per offrire a tutti la vicinanza della Chiesa, attraverso una condivisione di fede e di speranza.
2.In questi mesi abbiamo sperimentato che la famiglia può diventare – meglio può ritornare ad essere – il luogo della preghiera. Non luogo sostitutivo delle Chiese, ma luogo importante e necessario. Una realtà̀ da integrare e vivere anche durante il tempo della ‘normalità̀’.
(Vedi percorso della catechesi parrocchiale)
3. La pandemia ci ha sopresi mentre eravamo nell’anno pastorale dedicato agli adolescenti e ai giovani. Penso sia necessario riprendere i percorsi di incontro e maturazione umana e spirituale, anche attraverso strumenti e linguaggi che sono a loro più̀ vicini e che in questi mesi hanno aiutato a non disperdere il senso di comunità̀, come per esempio gli incontri via web.
Rinnovo l’invito all’ASSEMBLEA GENERALE DI GIOVEDÌ 12 NOVEMBRE in cattedrale ore 20,30 per tutti i Consigli Pastorali, gli operatori pastorali e coloro a cui sta a cuore la vita delle nostre comunità. don Natale
18 ottobre 2020 –
OTTOBRE: MESE MISSIONARIO – TESSITORI DI FRATERNITA’
Il mese di ottobre è dedicato nella Chiesa alla testimonianza e alla evangelizzazione cristiana. Più volte è stato ribadito che la Chiesa o è missionaria o non è Chiesa. Come pure la comunità parrocchiale o è missionaria o non è comunità cristiana. Ma cosa vuol dire, in concreto, essere comunità missionaria? Prima di tutto significa vivere quella che è la grazia del nostro battesimo che ci chiama ad essere evangelizzatori della buona notizia del vangelo all’interno della famiglia, nella vita attiva del lavoro e della quotidianità insomma essere testimoni credibili dell’amore del Signore presso tutti coloro con i quei si incrociano le strade della nostra esistenza. Dobbiamo ammettere che non sempre questo aspetto fondamentale della vita del cristiano è da noi vissuta in nodo attivo ed autentico: Ricordiamo il monito di Tertulliano: ”Se il mondo non si converte a Cristo non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza”. Quello che in altre parole si chiama coerenza tra ciò che professiamo con le labbra e quello che viviamo nei fatti e nelle scelte concrete di ogni giorno.
Papa Francesco presentando il tema dell’ottobre missionario di questo 2020 così si esprime: “In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da covid 19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me». È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?». Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé. Questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della Chiesa.
E’ una sfida che la nostra Unità Pastorale sta affrontando a cominciare dalla catechesi. Stiamo incontrando i genitori delle varie fasce d’età dei ragazzi di catechismo. A loro presentiamo un tentativo “nuovo” di evangelizzazione che tenendo conto del rispetto delle direttive per il coronavirus apre insieme a forme nuove di proposta catechistica che cerca di coinvolgere, famiglie, parrocchia, catechisti e i membri della comunità in un annuncio che sia non solo di istruzione ma di traduzione nella vita quotidiana del messaggio cristiano. Una prima concreta proposta è stata quella delle sei celebrazioni del primo incontro dei bambini con Gesù nella Messa di prima comunione. A causa delle limitazioni del Covid 19 si è dovuto modificare o meglio affermare quello che l’essenziale nella Comunione cioè l’incontro con Gesù. Credo che non sia mancata né l’importanza del sacramento, né la partecipazione composta e serena dei fanciulli e delle loro famiglie e dei rispettivi famigliari. E’ stato un momento di fede semplice e gioiosa come dovrebbero essere sempre gli incontri con Gesù nella Comunione della Messa di ogni domenica.
Il Papa conclude il suo messaggio dicendo che: “Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale significa anche riaffermare come la preghiera, la riflessione e l’aiuto materiale delle vostre offerte sono opportunità per partecipare attivamente alla missione di Gesù nella sua Chiesa”.
La Santissima Vergine Maria,
Stella dell’evangelizzazione e Consolatrice degli afflitti,
discepola missionaria del proprio Figlio Gesù,
continui a intercedere per noi e a sostenerci.
don Natale
11 ottobre 2020 – FRATELLI TUTTI
Sabato 3 ottobre, vigilia della festa di San Francesco, papa Francesco ha firmato ad Assisi sulla tomba di San Francesco la sua terza Enciclica dal titolo “Fratelli tutti”. L’Enciclica inizia con queste parole che spiegano il senso della Enciclica e motivano la sua stesura.
«Fratelli tutti», scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui» Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita. Questo Santo dell’amore fraterno, della semplicità e della gioia, che mi ha ispirato a scrivere l’Enciclica Laudato si’, nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova Enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale. Infatti San Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi”.
Papa Francesco prosegue l’Enciclica affermando che come esseri umani saremo tutti fratelli e sorelle solo se questo concetto diventerà concreto. Quindi, siamo obbligati ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte riguardo ai limiti delle frontiere e alla reciprocità, alla gratuità dell’accoglienza, all’orizzonte universale e all’identità locale. Per indirizzare lo sviluppo della comunità mondiale in questo senso, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune e di un amore che accoglie e integra, lontana da populismi e liberalismi e non sottomessa all’economia. L’obiettivo dell’amicizia sociale può essere raggiunto tramite il dialogo, ovvero avvicinandosi, guardandosi, esprimendosi, ascoltandosi, conoscendosi, provando a comprendersi, cercando punti di contatto. Per il pontefice, per realizzare quest’idea di mondo sono necessari percorsi che conducano a rimarginare le ferite. C’è bisogno, quindi, di artigiani di pace che aiutino a ricercare nuove soluzioni partendo dalla nuda verità, perché quando i conflitti non si risolvono ma si seppelliscono nel passato si creano fragili fondamenta per il futuro. Gli scontri in una società sono difficili da evitare, ma si superano con il dialogo, la riconciliazione e il perdono, comunque senza dimenticare ciò che non deve essere mai tollerato. In questo mese di ottobre invochiamo la Madonna e san Francesco con la preghiera che Papa Francesco ha posto alla conclusione della sua Enciclica.
Signore e Padre dell’umanità,
che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità, infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno, senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.
Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi,
per stringere legami di unità, di progetti comuni,
di speranze condivise. Amen.
don Natale
4 ottobre 2020 – OTTOBRE: MESE DEL S. ROSARIO
Mi confidava tempo fa una signora: “Io ho avvisato i miei figli e tutti quelli che mi conoscono sanno che non voglio essere disturbata dalle 18,00 alle 18,30 perché per Televisione io recito il Santo Rosario con Lourdes”. Così ciò che una volta era appuntamento fisso nelle famiglie e prima ancora nelle stalle, perché era l’unico luogo riscaldato nei freddi inverni di un tempo, oggi è sostituito dalla televisione e c’è da ringraziare per questo servizio. Certo l’invito è perché in ogni famiglia si trovi un momento, magari davanti ad un’immagine della Beata Vergine Maria, per una preghiera (se non tutto completo il rosario) perché la Madonna ci protegga e ci porti sempre Gesù e da Gesù. Anche nelle tradizioni dei nostri paesi c’era un appuntamento fisso e molto partecipato era la processione con la statua della Madonna per le vie del paese. Per le vie poi dove doveva passare la processione ogni balcone era coperto di fiori e chi non aveva drappi preziosi tirava fuori i copriletti più belli e li stendeva sui davanzali per dire la propria partecipazione e onorare così il passaggio della statua della Madonna. Un tempo poi erano i giovanotti (in genere infatti era privilegio dei coscritti dell’anno di portare la statua della Madonna) oggi siamo costretti a sostituirli con un carrettino che, sia pure con tutti i suoi begli addobbi ma non è la stessa cosa. Così come la partecipazione alla processione non è più così corale come un tempo adesso ci sono brave persone che per devozione e convinzione accompagnano pregando e cantando la Madonna nel suo passaggio per le nostre vie, ma sempre meno e soprattutto con l’assenza dei ragazzi e giovani. Ricordo un fatto: tanto tempo fa proprio alla processione della Madonna del Rosario una signora che aveva partecipato alla santa Messa mi aveva avvisato che non sarebbe potuta venire in processione a causa della sua malattia perché faceva fatica a camminare. Ma quando con la processione abbiamo fatto inversione di marcia per ritornare verso la chiesa mi sono accorto che molto indietro, accompagnata da due sue amiche, veniva avanti adagio anche quella signora malata. Così preso da ammirazione e commosso per la tenacia e la devozione di questa signora ho inventato una sosta a metà strada per una riflessione e una preghiera in modo da permettere anche a loro di unirsi alla processione. Questo fatto mi viene in mente quando faccio le processioni e istintivamente mi viene da inventare ogni volta una sosta per permettere a tutti coloro che non ci sono di unirsi alla processione e poi comunque di poterli portare tutti con noi dietro la statua della Madonna che come Madre tutti ci accoglie sotto il suo materno manto. “Il 21 novembre 1964 Papa san Paolo VI ebbe un’ispirazione e dichiarò: ‘La Madonna è madre della Chiesa’”. “Tutti i padri conciliari si alzarono in piedi e ci fu un applauso scrosciante”. Un applauso a Maria Madre di tutti noi. “Non v’è dubbio – diceva il papa – che la Corona del Rosario della Beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci preghiere che la famiglia cristiana è invitata a recitare insieme. Noi amiamo, infatti, pensare e vivamente auspichiamo che, quando l’incontro familiare diventa tempo di preghiera, il Rosario ne sia l’espressione più gradita“. Che l’auspicio del Papa diventi attuazione anche nelle nostre famiglie.
“O Maria, Madre di Cristo e Madre nostra, accogli l’omaggio
di devozione e di fedeltà, che a te presentiamo.
Confermiamo davanti a te, Vergine Mari, la nostra fede,
conforta la nostra speranza, riaccendi la nostra carità.
Conserva, o Madonna dolcissima, la Tua protezione sulle nostre famiglie,
sulla nostra Unità pastorale concordiese e su ciascuno di noi. Amen”
don Natale
27 settembre 2020 – OTTOBRE: LE MESSE DI PRIMA COMUNIONE
Il coronavirus ha creato una pandemia mondiale, tante cose sono cambiate e tante sono destinate ancora a cambiare. Nella nostra Unità Pastorale concordiese sono state sospese e rinviate le Messe della prima Comunione. Giunti però in ottobre abbiamo preso la decisione di celebrarle anche in questa situazione ancora di incertezza. È stata comunicata ai genitori la decisione di procedere per piccoli gruppi e con celebrazioni proprie i sabati alle ore 17,00 e alle domeniche alle ore 11.00, dunque fuori dalle Messe di orario. Inoltre, per le limitazioni ed evitare i contagi, le celebrazioni saranno molto sobrie, il che non vuol dire tristi anzi in questa maniera risulterà evidente che la festa vera è l’incontro con Gesù che si offre a noi nel Pane dell’Eucaristia. Riducendo poi all’essenzialità le esteriorità, quello che veramente sarà chiaro è che la Comunione è l’incontro con l‘amico Gesù che ci invita alla sua Cena.
Il 10 ottobre sarà dichiaro beato un ragazzo morto di leucemia fulminante si chiamava Carlo Acutis è un ragazzino normale: vivace, con tanti amici e una passione per l’informatica. Ma ha una speciale amicizia con Gesù, l’Amico. Se ne era accorta la mamma fin da quando Carlo, piccolissimo, passando davanti alle chiese le diceva: «Mamma, entriamo a fare un saluto a Gesù, a dire una preghiera». Poi aveva scoperto che leggeva la vita dei santi e la Bibbia. La loro è una famiglia normale, inizialmente la sua frequentazione in chiesa neanche molto assidua. «Ma quel “mostriciattolo” mi faceva tante domande profonde a cui io non sapevo rispondere. Rimanevo perplessa per quella sua devozione. Era così piccolo e così sicuro. Capivo che era una cosa sua, ma che chiamava anche me. Così ho iniziato il mio cammino di riavvicinamento alla fede. L’ho seguito». Il sacerdote che accompagna lei e il figlio, le dice: «Ci sono bambini che il Signore chiama fin da quando sono piccoli». A sette anni, Carlo chiede di poter ricevere la Prima Comunione. Quell’Amico si fa ancora più prossimo. Fa un’unica raccomandazione: che la celebrazione si svolga in un luogo idoneo al raccoglimento interiore, senza distrazioni. Il 16 giugno 1998 Carlo riceve l’Eucaristia nel silenzio del monastero della Bernaga a Perego. Quella di Carlo è una vita normale. Con un punto fermo, speciale: la messa quotidiana, perché dice «l’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo. Noi siamo più fortunati degli Apostoli che vissero 2000 anni fa con Gesù: per incontrarLo basta che entriamo in chiesa. Gerusalemme l’abbiamo sotto casa». Al termine della celebrazione si ferma per l’adorazione. Si confessa frequentemente perché «come la mongolfiera per salire in alto ha bisogno di scaricare i pesi, così l’anima per levarsi al Cielo ha bisogno di togliere anche quei piccoli pesi che sono i peccati veniali». Sono parole semplici, di un ragazzino. Ma con il desiderio di stare con quell’Amico che gli sta chiedendo tutto. Soprattutto di testimoniarlo con la sua vita. Carlo è un bellissimo esempio di quello che significa vivere la Comunione come l’incontro con Gesù.
Trascrivo il foglietto che dei genitori hanno scritto al loro figlio il giorno della sua prima Comunione: “Ti scriviamo queste poche righe per raccontarti tutta la nostra gioia ed emozione in questo giorno importante per te. Ricordati che la cosa veramente “speciale” non saranno i regali, la festa e il tempo… ma l’incontro con il vero pane di vita: Gesù. Questo dono, ti accompagnerà per sempre e sarà la forza per il cammino della tua vita. Noi ti siamo accanto per trasformare la nostra vita in una festa, in una lode, in una testimonianza del nostro grande Amico comune: Gesù. Mamma e papà.”
Che la freschezza dell’amore di Carlo
per l’Amico Gesù nella Eucaristia
e la gioia di questi genitori ci aiuti tutti,
ma in modo particolare i nostri bambini,
a vivere la bellezza del loro primo incontro con Gesù
nella Santa Comunione
e poi a continuarlo per tutta la loro vita.
don Natale
20 settembre 2020 – INIZIO ANNO PASTORALE
Domenica 13 settembre è iniziato il nuovo anno pastorale che porta il titolo “Da Babele e Pentecoste”. Forse mai come in questi tempi abbiamo preso coscienza di essere tutti sulla stessa barca e di dover dare tutti il nostro contributo per fare fronte alla tempesta che ci ha investiti. Parlando con la gente si sente, oltre all’incertezza per la ripresa, anche la necessità di andare comunque avanti, di abbattere il muro della paura e della insicurezza e provare ad incominciare ben sapendo che non sarà più come prima. Senza poi voler esaltare questo tempo, che è tempo di prova e dunque anche di fatica e di sofferenza, dovremmo provare a vederlo anche come tempo che ci permette, di riflettere su come fino adesso abbiamo vissuto sia come cittadini che come cristiani. Dobbiamo così anche noi prendere atto, come a Babele, che volevamo costruire una società dove Dio è sempre più relegato nel privato e non parte attiva e fonte che orienta le relazioni e il vivere quotidiano. L’altro è allora potenzialmente un concorrente e non invece un altro come me amato da Dio e mio fratello. Così abbiamo lasciato che operassero in noi, come ci ha ricordato Papa Francesco nell’omelia della Pentecoste, tre terribili virus che hanno fatto ammalare la nostra vita sociale e di comunità e sono: il narcisismo- egoismo (che fa rivolgere il nostro interesse solo a noi stessi e tuttalpiù ai nostri congiunti) il vittimismo (che ci fa credere che il male e la colpa di esso siano gli altri; siano essi i nostri nazionali o coloro che vengono da altre nazioni in cerca di una dignità per la loro vita) e il pessimismo (che ci giustifica dal non fare niente tanto niente cambierà, allora io sto fermo e aspetto che passi). Negli Atti degli Apostoli, che ci narrano la Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo, mi colpiscono due espressioni. La prima all’inizio la dove si dice “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste “e l’altra: “Venne all’improvviso (lo Spirito)”. La prima frase mi dice che l’azione del cristiano è innanzitutto quella di mettersi in un atteggiamento di attesa orante cioè di preghiera (perchè la preghiera non è un’inutile perdita di tempo ma ci predispone ad accogliere lo Spirito che può arrivare anche alla fine della giornata). Possiamo infatti tutti constatare che il coronavirus ha spento talora in noi il gusto dell’attesa operosa e siamo diventati tutti un po’ più stanchi e sfiduciati sino a diventare oziosi e inerti siamo come quegli operai del racconto evangelico che ricevono il rimprovero del padrone della vigna: “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi a lavorare nella mia vigna” Questo è l’invito pressante che il Signore rivolge anche a noi all’inizio di questo nuovo anno pastorale. Non aspettiamo però di essere chiamati e nel frattempo restare oziosi, ma offriamo noi per primi la nostra disponibilità con generosità e con gioia. Tutti laici e preti, religiosi.La seconda espressione è: “Venne all’improvviso”. Lo Spirito arriva all’improvviso con la sua forza e con l’originalità che non è mai ripetitiva, lo Spirito è giovane e rinnova sempre la faccia della terra. Lo Spirito spalanca le porte delle nostre chiese (è un bel segno che a causa del virus per areare le porte delle nostre chiese rimangono aperte; ecco la bella visione della chiesa con le porte aperte sul mondo). Il Vescovo ci ricordava di vivere la nostra testimonianza cristiana sulla strada tra l’altare e la vita operativa della gente indicando concretamente tre priorità:
Guardiamo alle persone e agli incontri con loro. Prima di preoccuparci del “cosa fare” guardiamo bene il volto, la vita la storia delle persone. Senza questa conoscenza sono inutili i programmi. Dedicare del tempo a verificare questa stagione di prova del Covid 19 che viviamo per ricavare da essa quella novità che è opera dello Spirito Santo. Infine, poichè ci è chiesto di vivere nel mondo senza essere del mondo, siamo chiamati a farci carico nella solidarietà della condivisione verso le nuove povertà e i bisogni che avanzano. Quei poveri nei quali è presente Gesù e con loro avremo sempre Gesù in mezzo a noi.
Ripartiamo dunque e come diceva un canto di un tempo: “Lui, il Signore, è davanti a noi e ci sta aspettando per far strada con noi e per ancora lui il Signore risorto incoraggiarci e, camminando con noi, spiegandoci le scritture mettere dentro il fuoco del servizio e dell’amore nel nostro cuore.
BUON ANNO PASTORALE 2020-2021!
don Natale
13 settembre 2020 –
FINALMENTE SI RICOMINCIA…
“Finalmente”, detto forse un po’ sottovoce da parte dei ragazzi, ma certamente con grande convinzione da parte dei genitori e adulti: “finalmente ricomincia la scuola dopo una lunghissima vacanza”. Riflettendo non si può che rallegrarci di questo inizio, sia pure con qualche trepidazione e incertezza, infatti la scuola è importante per l’educazione non solo culturale ma anche e soprattutto umana per la formazione di un carattere, per l’acquisizione di quelle capacita che ci abilitano a relazioni positive con le persone: insomma la scuola ci aiuta a divenire bravi uomini e donne e bravi cittadini del mondo.
Ricordiamo quello che è stato per ciascuno di noi il primo giorno di scuola, con quanta apprensione e titubanza abbiamo messo piede nelle aule scolastiche, per me erano le “scue vecie”, la conoscenza con il maestro, il mio maestro di cognome faceva Lasicic e veniva ogni giorno da Gorizia. Ricordo le ampie aule e la stufa color mattone che cercava di scaldare ma non ci riusciva se non debolmente. Ricordo che eravamo divisi in classe maschili e femminili e che il momento più bello era quello della ricreazione sotto gli alberi di abete a giocare con quello che era una specie di pallone, ma ci bastava per scatenarci. Ricordo che il maestro sapeva suonare la fisarmonica e ogni tanto ci faceva cantare le canzoni dei nostri soldati durante la guerra, ma noi cantavamo senza capire quello che era il dramma, la nostalgia e la tristezza che esse contenevano, ricordo…
Oggi voglio rivolgere, anche da questo foglio, l’augurio di un buon inizio dell’anno scolastico agli studenti e agli alunni, invitandoli ad attenersi con responsabilità alle regole che verranno loro richieste per il bene loro e di tutti. Dire un grande grazie agli insegnanti e a tutto il personale della scuola di ogni ordine e grado. E un incoraggiamento ai genitori perché sostengano soprattutto con la costanza della loro presenza e del loro interessamento questo fondamentale servizio per i loro figli.
Rivolgo poi un invito a tutti: VENERDÌ 18 SETTEMBRE la chiesa festeggia san Giuseppe da Copertino patrono degli studenti CELEBREREMO UNA SANTA MESSA ALLE ORE 18,30 IN CATTEDRALE dove pregheremo e chiederemo la benedizione del Signore per il nuovo anno scolastico.
Vorrei ora che si potesse dire, a breve, “Finalmente riprende anche il catechismo” e la celebrazione di quei sacramenti che erano stati previsti, come la prima Comunione e la Cresima, e che il virus Covid-19 ci aveva impedito di celebrare alle date concordate. Nel fissare le nuove date sappiamo di non poter soddisfare le esigenze di tutti, ma come abbiamo ormai ripetuto come un ritornello dobbiamo ricordare che non sarà più come prima.
Avremmo modi di incontrare i genitori per predisporre l’inizio del percorso di catechismo che dovremmo chiamare meglio “percorso di evangelizzazione” per indicare che tutti abbiamo bisogno di metterci in cammino dietro il Signore Gesù seguendo il suo Vangelo e cercare di tradurlo nella vita di ogni giorno con atti di amore e di servizio verso il prossimo.
Ringrazio i genitori ai quali compete in primo la responsabilità e, spero anche, la gioia dell’annuncio cristiano ai loro figli, avremmo modo di concordare con loro un percorso in famiglia perché i figli possano acquisire lì buone abitudini di vita cristiana.
Ringrazio di cuore i catechisti perché mettono a disposizione nel loro servizio non solo competenza e preparazione ma anche generosità ed entusiasmo nel trasmettere la bella notizia del Vangelo. Dobbiamo essere certi che anche in questi tempi il Signore accompagna noi, suo popolo, perché lo sentiamo vicino come nostro Padre e Pastore.
Adesso si tratta di avere il coraggio di prendere l’iniziativa e di metterci tutti in cammino senza lasciarci schiacciare dalle situazioni che si sono create, ma affrontarle con fiducia e serenità. Siamo chiamati ad essere una chiesa dalle porte aperte, capace di prendere iniziative, di lasciarci coinvolgere e di accompagnare il nostro cammino affidandoci nella preghiera al Signore.
Nel suo Nome ripartiamo insieme.
don Natale
6 settembre 2020 –
“SETTEMBRE, ANDIAMO. È TEMPO DI MIGRARE”.
Comincia con queste parole la poesia “I pastori” di Gabriele D’Annunzio. Anche per le nostre parrocchie dell’Unità Pastorale concordiese è tempo di migrare cercando di riprendere una “normalità” che sappiano non sarà più come prima, ma comunque ha da incominciare, è sarà proprio un po’ come una migrazione. Vediamone i punti.
- PREPARATIVI PER LA PARTENZA. La prima cosa da fare è incontrarci per mettere insieme i preparativi per la partenza. In queste settimane incontreremo le famiglie, i consigli, le associazioni, i vari operatori pastorali per mettere a punto un piano che orienti il cammino di quest’anno. È ovvio che non si potrà prescindere dalle indicazioni che ci permettono di iniziare con una certa tranquillità nel rispetto di quelle che sono le tre regole fondamentali: indossare le mascherine sempre in ambienti chiusi, distanziamento di almeno un metro, igienizzazione- lavaggio delle mani.
- ICONE DEL CAMMINO. Nella riflessione che la Chiesa e in primo Papa Francesco ha fatto della sofferta stagione del Covid 19 sono emerse dell’icone bibliche significative da tenere presenti: Icona della Pasqua. Lapandemiahamessoallaproval’annunciodellasperanza cristiana, la “beata speranza” di cui parla la liturgia. Ha svelato anche i limiti di una predicazione troppo astratta. La speranza cristiana si fonda sull’esperienza che la comunità credente fa del Risorto. Ancora otto giorni dopo la risurrezione di Gesù, infatti, i discepoli si ritrovano nel Cenacolo, in una casa, a porte chiuse, il Risorto li raggiunge e viene a spingerli fuori perchè vadino ad annunziare la bella notizia del Vangelo a tutti. Una lettura pasquale della esperienza della pandemia non può prospettare il semplice ritorno alla situazione di prima, augurandosi di riprendere l’aratro da dove si era stati costretti a lasciarlo. Ma è una ripartenza come comunità ecclesiale sui passi dell’uomo del nostro tempo, animati da tenerezza e comprensione, dalla presenza del Risorto che non delude.
Icona da Babele a Pentecoste. “Costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo”: con la costruzione della torre di Babele gli uomini si considerano il centro dell’universo. Il racconto della Torre di Babele esprime l’orgoglio di una umanità che pretende di auto-innalzarsi e auto- divinizzarsi giungendo a sostituirsi a Dio. Il giorno di Pentecoste invece esprime l’esperienza che ha fatto un gruppodi poco più di un centinaio dipersone sperimentando unlinguaggio nuovo, che permetteva loro di capirsi mantenendo la loro diversità. È una esperienza forte, miracolosa di Dio che pone fineal disastro di Babele e permette all’umanità di abitare in pace la terra. Il dono dello Spirito Santo, spesso dimenticato, è capace di trasformare le persone che, pur avendo incontrato Gesù, non sanno uscire per andare nella quotidianità della vita ad annunciarlo e a testimoniarlo vivo e presente.
- METTERSI IN CAMMINO. San Paolo ci suggerisce come attrezzarci per il cammino: “La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”. Affidiamoci con fede nella preghiera al Signore che ci ha assicurato che non ci abbandonerà mai. Teniamo accesa la luce della Parola di Dio che è “Lampada per nostri passi e luce sul nostro cammino” Confidiamo nella misericordia del Signore che ci rialza, ogni volta che cadiamo, con il suo perdono. Camminiamo insieme come comunità aiutandoci e rispettandoci e volendoci bene gli uni gli altri. Facciamo un grande respiro e mettiamoci nello stato d’animo di chi conosce le difficoltà di una ripresa ma non si spaventa e ci mette tutta la buona volontà per ripartire sapendo che il Signore è davanti a noi e ci sta aspettando per riprendere con noi il cammino di questo nuovo anno. Allora ci auguriamo alla maniera degli scout:
“Buona strada nel nome del Signore, della Vergine Maria e dei nostri Santi Martiri”.
don Natale
23 agosto 2020 –
THOMAS ED ERIK, DON ENRICO: GIOVANI IN SERVIZIO
Domenica 6 settembre nel parco del Seminario Vescovile a Pordenone alle ore 18,00 il nostro Vescovo Giuseppe ordinerà diaconi sei giovani. Tra essi, e lo dico con un certo orgoglio, ci sono due giovani di Concordia: sono i gemelli Thomas e Erik Salvador. In questi tempi particolari uno dei temi che ritornano con frequenza nelle discussioni e nelle prospettive per il domani sono i giovani, il loro presente e il loro futuro. Giustamente essi sono la “preoccupazione” di tutti perché sono la speranza dell’oggi e del domani della nostra società. L’interesse è correttamente volto a chiedere ciò che deve fare una società per creare spazio e prospettiva alle attese dei giovani. Ma se l’attenzione verte soprattutto su quello che è l’impegno lavorativo e quindi il lato economico non mi pare ci sia altrettanto sforzo per quanto riguarda la formazione sui valori e significati da acquisire per una formazione umana responsabile che dia contenuto sostanzioso alla vita dei giovani. La bella immagine di sei giovani che liberamente, gratuitamente e gioiosamente, dopo un lungo periodo di discernimento, decidono di mettere la loro vita a servizio degli altri senza riserve è esperienza che va sottolineata e mostrata come proposta positiva e qualificante la formazione dei giovani. In questo tempo estivo si è stigmatizzato il comportamento di giovani che hanno assunto nei confronti del Covid 19 un atteggiamento superficiale per non dire menefreghista. I risultati negativi si vedono e a farne le spese saranno i più deboli e i più esposti alle conseguenze terribili del contagio. Il riferimento e le responsabilità nei confronti degli altri è la prima e fondamentale regola che qualifica un comportamento maturo e che fa crescere con piena coscienza un giovane perché possa prendere con consapevolezza il suo posto nella società.
A settembre don Enrico si prepara ad assumere il suo servizio come parroco in Bibione. È un altro esempio di gioventù messa a disposizione degli altri: in questo don Erico continua quello che ha dimostrato in questi 5 anni in cui è stato qui a Concordia nella nostra Unità Pastorale. La sua costante attenzione verso il mondo dei ragazzi, verso i quali con entusiasmo e generosità, ma anche con competenza e idee chiare ha cercato di offrire una proposta formativa, per renderli consapevoli del loro impegno a entrare da protagonisti positivi nel mondo. In questo cammino e proposta educativa è sempre stato presente Colui che è guida e fondamento: il Signore Gesù crocifisso risorto vivo presente in mezzo a noi. Secondo la felice introduzione della esortazione apostolica Christus vivit di papa Francesco: “Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!”.
Mi viene dunque con tutta sincerità di dire allora un grazie grande al Signore che suscita nella nostra storia giovani che offrono la loro vita nel servizio generoso agli altri. Un grazie riconoscente a don Enrico per quanto ha donato di tempo, entusiasmo, competenza e spiritualità tra di noi, e per la pronta risposta ad un servizio nella comunità di Bibione. Un grazie e un incoraggiamento a Thomas e a Erik e agli altri quattro futuri diaconi per il cammino intrapreso in risposta all’invito del Signore. E accompagnare tutti con una preghiera fiduciosa e confidente al Signore per affidarli alla intercessione di Maria Santissima nostra Madre e ai nostri Santi Martiri di Concordia.
Don Natale
23 agosto 2020 – CAMMINO PASTORALE anno 2020-2021
1. Iniziamo questo nuovo anno pastorale 2020-2021 immersi in una crisi vissuta in maniera faticosa e a volte drammatica, dove tutti ci siamo trovati impreparati e smarriti. A dire il vero, in questi primi vent’anni del terzo millennio, è la terza crisi, il terzo shock globale che colpisce le società e le economie globalizzate. Abbiamo avuto l’11 settembre che ha innestato la dinamica del terrorismo, non ancora sconfitto; abbiamo avuto il 2008 con la crisi finanziaria e gli effetti che conosciamo bene; oggi abbiamo la crisi del Covid-19 e vedremo dove ci porterà. Abbiamo costruito società molto potenti e profondamente interconnesse, ma anche molto vulnerabili.
2. Avvolti dalla paura ci portiamo dentro una serie di domande e interrogativi sul futuro e sul significato profondo della vita, della società e anche della Chiesa, che non hanno ancora trovato soddisfacenti risposte. Bruscamente e senza nessun preavviso, in pochissimo tempo, tutto è cambiato. All’inizio, si percepiva che qualcosa di grave avrebbe potuto abbattersi anche in Europa e in Italia. Ma c’erano anche tante voci che ci tranquillizzavano dicendo che è un’influenza un po’ più forte delle altre, e che se mai, toccherà di più i paesi del ‘Terzo Mondo’, non noi! Il virus, invece, ci ha raggiunti e ci ha colpiti entrando non solo nei nostri corpi, ma di più nelle nostre menti e nei nostri cuori. Ci siamo trovati a combattere contro un male invisibile ma micidiale, che ci ha raggiunti.
3. Una parte significativa del cammino pastorale del prossimo anno, è bene che sia dedicata e riservata a far emergere dal profondo di noi stessi le vere domande e i grandi interrogativi che ci portiamo dentro e che l’esperienza della pandemia hanno fatto emergere con più forza. Desidero che il periodo trascorso non sia considerato come una parentesi, da lasciare quanto prima dietro le spalle, ma invece sia interpretato e vissuto come un’occasione propizia per riprendere il cammino, per essere uomini e donne ‘nuovi’, rinnovati e rinfrancati, per accogliere con più generosità e disponibilità i doni di Dio, così da poterli ridonare con entusiasmo e con passione agli altri. Per noi cristiani, lo sguardo su ogni avvenimento che capita passa attraverso la lente del mistero pasquale, che culmina nell’annuncio che Cristo “è risorto il terzo giorno” (1Corinzi 15,4). Una lettura biblico spirituale dell’esperienza della pandemia, che ci aiuta a ritornare al centro della nostra fede: il mistero pasquale di Gesù, morto, sepolto e risorto per noi.
4. Non intendo proporre un esame di coscienza o una introspezione per cercare ciò che abbiamo o non abbiamo fatto, ma desidero sia un’occasione di apertura e di dialogo tra di noi, per rilanciare l’agire pastorale e per rivitalizzare il nostro essere comunità sociale ed ecclesiale. Auguro che le comunità parrocchiali, i diversi gruppi e gli operatori pastorali, possano sperimentare e vivere momenti belli e significativi di incontro e di condivisione del vissuto.
5. Nell’omelia della Messa di Pentecoste di quest’anno, papa Francesco ci ha ricordato che “peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. È il rischio che possiamo correre anche noi. Valorizziamo quest’anno per uscire un po’ di più da noi stessi. Le domande possono costituire la molla per uscire da sé, per cercare la verità su di noi, sulle attività e proposte pastorali fatte e per andare lealmente verso gli altri. Negli incontri che faremo, sia a livello parrocchiale e di unità pastorale che nelle attività di gruppo, diamoci il tempo necessario per far risuonare alcuni interrogativi che ci portiamo dentro e, con fiducia e responsabilità, confrontiamoci per individuare nuove opportunità di crescita umana e spirituale e per ritrovare la gioia e il coraggio dell’annuncio del Vangelo. Vescovo Giuseppe
Ho trascritto dalla introduzione della lettera del Vescovo Giuseppe per questo nuovo anno 2020-2021 alcuni punti che orientano e chiedono alle nostre comunità un lavoro di verifica, di discernimento per una ripartenza positiva e “nuova” del nostro essere comunità cristiana in questo mondo che non è più come prima. Invoco la Beata Vergine Maria, Santo Stefano, San Pio X, San Giuseppe, San Leopoldo, San Giusto e i nostri Santi Martiri che ci siano vicini e ci guidino con forza e gioia verso il nuovo che ci attende e che è visitato da Dio e da lui amato.
don Natale
16 agosto 2020 -FESTA DEI RAGAZZI – NON SARÀ COME PRIMA
Dal 22 al 30 agosto ci sarà la “Festa dei Ragazzi” 2020. Già dalla data si capisce che non sarà come prima. Tutti noi ricordiamo però che da febbraio, se non da prima, di questo 2020 è arrivano un minuscolo virus che ha cambiato la vita non solo dell’Italia, ma quella di tutto il mondo. Le
conseguenze di questa presenza subdola e, per tanti versi misteriosa, incombono ancora su tutti, tanto che guardiamo con apprensione e incertezza il futuro. In questa situazione c’era da decidere se
non fare per niente la “Festa dei Ragazzi”, e questa poteva essere la soluzione più semplice e anche quella che ci liberava da ogni grana; oppure decidere, come si è fatto, di tentare di farla tenendo presente e cercando di rispettare le limitazioni e le regole che ci vengono proposte, sapendo bene
che comunque non sarebbe stata come prima. Si era presentata la stessa situazione per quando ha riguardato il GREST per il quale è stata fatta la scelta dei “centri estivi” e alla verifica possiamo dire che è stata una scelta vincente, pur non essendo stata come prima. Invece per i “campi a Casa
Ropa” le limitazioni erano tali che avendo numeri molto alti di partecipanti non era proponibile realizzarli se non tagliano fuori più della metà dei partecipanti.
I motivi invece che ci hanno fatto optare per una proposta, certo ridotta e diversa, della “Festa dei Ragazzi” vanno ricercate nei valori e nelle motivazioni originali che hanno ispirato 54 anni fa’ la “Festa dei Ragazzi”.
1.Cominciamo dal titolo. “Festa dei Ragazzi” dice espressamente due cose: primo che è una FESTA non una battaglia a suon di proteste e di ricorsi aggressivi, ma una competizione agonistica i cui protagonisti sono i ragazzi il cui scopo primo è quello di divertirsi insieme, non quello di lottare
con ogni mezzo licito e non per vincere. Fa male perdere, ma non è una tragedia e domani è un altro giorno.
2.La divisione in contrade ha prima di tutto il compito di creare unità e collaborazione di buon vicinato e spirito di squadra tra persone che vivono nel medesimo quartiere e hanno la possibilità di uno scambio di relazione al di là e oltre la “Festa dei Ragazzi. Creare dunque senso di appartenenza
e di collaborazione che sarà importante che si realizzi anche fuori della “Festa dei Ragazzi”. In questo un sano agonismo non mortifica ma ravviva lo spirito di relazione.
3.La presenza accanto ai ragazzi del mondo degli adulti è fondamentale per dare serenità,
equilibrio e saggezza a quella che è e deve rimanere una Festa. L’adulto, se poi è anche genitore,
rivive nei figli la passione della sua “Festa dei Ragazzi”, ma essere adulto richiede che non si
intrometta nelle diatribe proprie dei ragazzi e soprattutto non deve essere lui a fomentare e a farle
diventare “Robe de grandi” deteriorandone il clima e rovinando la bellezza della festa.
4.In questi nostri tempi di Covid 19 ci è sembrato più che mai opportuno, dopo la “dispersione” e
il “lockdown” nella “incertezza” della ripresa scolastica e delle attività parrocchiali, che fosse dato,
sia pure con tutte cautele del caso, la possibilità ai ragazzi di ritrovarsi insieme, e di ritrovarsi in
Oratorio luogo di incontro e formazione cristiana dei giovani e delle famiglie. Capire che anche
per loro le cose non saranno più come prima, e che per questo dovremmo tutti avere grande umiltà,
e pazienza, ma anche coraggio e speranza per “reinventare” un modo di vivere che sia “diverso” da
quello che abbiamo vissuto finora, uno stile di vita che dovrà avere una buona relazione umana e
con l’ambiente, sereni rapporti con le persone e recupero positivo dell’aspetto spirituale nella
relazione con Dio.
5.Per quanto riguarda poi le decisioni concrete dello svolgimento della “Festa dei Ragazzi”
esistevano diverse possibilità, ma bisognava fare delle scelte che alla conclusione saranno oggetto di
valutazione dopo una serena verifica. Per questo sono sempre possibili “cordiali” suggerimenti e
“amichevoli” consigli da parte di tutti
Mi sento più che mai di affidare questa nuova “avventura” alla protezione di Maria Assunta
in cielo che veneriamo sabato 15 agosto e ai nostri patroni Santo Stefano e ai Santi Martiri.
Buona festa
don Natale
9 agosto 2020 – E DOPO SAN STIEFIN…
Passate le feste di Santo Stefano e dell’anniversario della Consacrazione della Chiesa Cattedrale e passati i giorni della Sagra e della Fiera che hanno sfidato le incertezze e le difficoltà di questi tempi, ci rimettiamodecisamenteecoraggiosamente incammino. Ilmesediagostoera, dasempre, ilmese delle ferie, ma quest’anno è diverso e anche qui “non è più come prima”. Ci è chiesto di guardare avanti, e di provare a immaginare come e da dove partire per un cammino che ci apra alla speranza e alla fiducia. Provo ad indicare quali possono essere i punti di partenza:
- Tenere ben fermo il nostro sguardo su Gesù che guarisce. Il tempo di pandemia ha smascherato le nostre vulnerabilità, le nostre fragilità e le nostre infermità abbiamo bisogno di Gesù che ci guarisca. Per essere guariti da lui, in Gesù medico delle anime e dei corpi, dobbiamo accogliere la sua opera di guarigione e di salvezza in senso fisico, sociale e spirituale. Siamo chiamati così ad esserea nostravolta guaritori guariti. Siamo veramente guariti da Gesù quando a nostra volta diventiamo guaritori degli altri.
- Saper rimanere sereni nel silenzio. Il silenzio è la lingua di Dio ed è il linguaggio dell’amore. Dio crea il mondo in silenzio, s’incarna nel grembo silenzioso di una Donna e redime l’uomo nel silenzio di una croce. È fondamentale fare silenzio, per ascoltare la voce di Dio dentro di noi, e anche noi stessi e gli altri. Fare silenzio per “ruminare” la Parola di Dio e donare agli altri parole autentiche, luminose e piene di speranza. Bisogna che impariamo a tacere, a raccoglierci, a stare soli, ad adorare in silenzio e a comporre interiormente qualche parola degna di Dio, ad ascoltare l’eco delle parole del Signore, ascoltarle, ripeterle, scandirle, lasciarle depositare nel fondo dell’anima, solo allora le parole che diciamo agli altri saranno parole che comunicano vita e guarigione. Maria, Vergine del silenzio, maestra e madre spirituale, ci insegni ad accogliere il dono del silenzio per ascoltare Dio e tacere per non cadere nella tentazione dello sparlare degli altri, nella tentazione dell’invidia e della calunnia.
- Vivere l’azione feconda della evangelizzazione. Evangelizzare significa – in questi tempi della pandemia – portare una notizia nuova, gratuita, oltre le attese dell’uomo, e al tempo stesso talmente umana che quando la incontri fa impallidire ciò che prima cercavi. Infatti resta sempre da dire l’essenziale, che cioè Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per noi, condividendo in tutto la nostra condizione e che è Lui la vera salvezza del mondo ieri, oggi e sempre. Il vangelo conserva intatta la sua sorprendente novità e la missione della evangelizzazione pone la sua urgenza. Questo è il semplice annuncio che oggi deve poter raggiungere ogni uomo iniziando proprio dalle nostre famiglie e da queste nostre terre e da questa nostra gente che, forse troppo facilmente, abbiamo in passato ritenuto già evangelizzata, già cristiana. Ma perché questo avvenga, occorre porsi in ascolto della Parola di Dio, non solo della storia e delle urgenze. La Parola di Dio è lucida ed efficace e immediatamente rivela, a colpo d’occhio, se ciò che facciamo è evangelico e missionario, cioè fatto all’unico scopo di rendere luminoso l’amore del Signore Gesù, o se invece finiamo ancora una volta col fare i nostri interessi.
Questi mi paiono le direzioni di un cammino cristiano post Covid 19: tenere lo sguardo fisso su Gesù, custodire nel cuore il silenzio dell’ascolto e coltivare la fecondità dell’evangelizzazione. Ci chiediamo come possiamo farcela? Invocando, con le parole di papa Francesco, il vero artefice della nostra guarigione e del nostro cammino:
Spirito Santo, armonia di Dio, Tu che trasformi la paura in fiducia e la chiusura in dono, vieni in noi. Dacci la gioia della risurrezione, la perenne giovinezza del cuore. Spirito Santo, armonia nostra, Tu che fai di noi un corpo solo, infondi la tua pace nella Chiesa e nel mondo. Spirito Santo, rendici artigiani di concordia, seminatori di bene, apostoli di speranza.
don Natale
2 agosto 2020 –SAN STIEFIN IN TEMPO DI CORONAVIRUS
Anche San Stiefin quest’anno ha dovuto adeguarsi alle limitazioni e anche la sua festa deve fare a meno di parecchie di quelle attività sia commerciali che culinarie che ne hanno da sempre caratterizzato anche la sagra. Nei miei ricordi d’infanzia San Stiefin voleva dire qualche giro sui autoscontri e sui discovolanti, un toc di croccante e un sachettin de mandue, un rodul de sigurissia e una bea feta de anguria rossa come el fogo . Ora la sagra di San Stiefin si è nobilitata e ha anche una funzione economica trainante. Un tempo si svolgeva la “fiera boaria” nel vecchio campo sportivo con la ritualità dei mercantini che sbattevano con forza le mani del venditore e del compratore e l’affare era firmato e sigillato magari con un bon goto de merlot. Tempi passati che ricordiamo con nostalgia ma non con rimpianto, ai tempi bisognava fare i conti con i “franchi” sempre pochi oggi abbiamo l’euro ma anche quelli sono sempre pochi.
L’aspetto più propriamente religioso della festa un tempo era caratterizzato dalla Messa grande con il Vescovo e con la presenza dei parroci della Diocesi che erano tenuti ad intervenire perché, se assenti senza una valida giustificazione, erano tenuti a pagare una multa. Ricordo che da chierichetto tante volte servivo Messa a parroci che, venuti da distante e con mezzi pubblici, chiedevano di poter celebrare Messa su uno degli altari che erano lungo le navate della cattedrale perché, con la scarsità dei mezzi pubblici di allora, non avrebbero potuto rientrare in parrocchia prima di sera.
Oggi i mezzi di trasporto ci sono e anche abbondanti ed è possibile a tutti partecipare, questo lo dico anche per noi di Concordia, abbiamo tutti bisogno di pregare e chiedere l’intercessione di San Stiefin protomartire, cioè primo martire cristiano che ha dato la vita in fedeltà a Gesù Cristo e al suo Vangelo. Egli è un esempio luminoso di coloro che, come dice la liturgia, “hanno testimoniato con il sangue i prodigi di Dio Padre che rivela nei deboli la sua potenza e dona agli inermi la forza del martirio”.
Quest’anno presiederà la Celebrazione il Card. Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, insieme con il nostro Vescovo Giuseppe e i parroci della Diocesi, ci aiuterà a pregare e a riflettere, alla luce della Parola di Dio, riguardo il tempo che stiamo vivendo, un tempo che ci chiede di “convertirci” alla novità di un mondo diverso, più umano e cristiano per non sfinire ancora malati dentro un mondo malato.
In sala Ruffino, con il patrocinio e il contributo del Comune, quest’anno abbiamo allestito una mostra su Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. È un pittore il Caravaggio dalla vita avventurosa e disordinata, ma i suoi quadri, in gran parte di soggetto religioso, sono attraversati da un fascio di luce che, voglio credere, esprimono la struggente nostalgia della luce divina che illumina la povertà e il peccato della nostra vita con la grazia della sua misericordia e del suo perdono.
Sarà così utile e istruttivo per tutti fare una visita, specialmente alla sera dove ci sarà anche la possibilità di avere qualche giovane che farà da guida e, attraverso la visione di quei quadri così drammatici cogliere insieme anche la religiosa speranza che li illumina.
Speranza di cui abbiamo bisogno per riprendere con novità il nostro cammino perché “se niente sarà più come prima” San Stiefin e i nostri Santi Martiri ci siano accanto per indicarci la strada giusta e bella della rinascita e della conversione alla “salvezza” in Cristo Gesù.
BON SAN STIEFIN!
don Natale
26 LUGLIO 2020 – NIENTE SARA’ PIÙ COME PRIMA – 2a parte
Ci stiamo avvicinando velocemente alla “fiesta de san Stiefin” che anch’essa non sarà più come prima il che non vuol dire che non si farà niente ma si farà “diverso” e soprattutto lo spirito che la orienta e la qualifica avrà per forza di cose un indirizzo e delle motivazioni, anche pratiche, nuove e speriamo anche più coerenti con quello che è il significato e il valore della festa del nostro patrono e del patrono della Diocesi Santo Stefano. Ecco qualche spunto per la riflessione:
1. Una santa inquietudine. Papa Francesco con una formidabile sintesi così si esprimeva: “«Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”. La santa inquietudine è quella di preoccuparci che la nostra vita sia una visibile e chiara testimonianza e un annuncio di Gesù a tutti gli uomini. Per fare questo dobbiamo “svecchiare” il nostro modo di agire, il non fissarsi su “abbiamo sempre fatto così” per aprirci alla novità e alla fantasia originale dello Spirito. Apriamoci alla sua presenza ci metta nel cuore questa santa inquietudine e ci svegli dal torpore che purtroppo ha, per tanti versi, reso immobile e infruttuosa la nostra presenza di cristiani nella società.
2. La corresponsabilità dei laici. “In modo particolare, i fedeli laici, avendo come proprio e specifico il carattere quello di cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio, possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare». Senza andare a scomodare forme “straordinarie” di presenza dei laici (vedi presidenza alla celebrazione dei matrimoni) i laici, in forza del loro battesimo, hanno di diritto la responsabilità e l’onere di vivere nella comunità tutti quei “servizi” che la qualificano come comunità cristiana che sono: quello liturgico ( pensiamo al canto, al guidare le preghiere per varie situazioni, anche proclamare la Parola di Dio e la distribuzione della Comunione); quello catechetico, con le limitazioni imposte dalla Covid-19, sempre più l’annuncio del catechismo è compito dei laici a cominciare dalle famiglie. La presenza sul territorio della proposta cristiana ha da uscire dalle chiese formarsi nelle case e nei luoghi abitati dalle persone. Infine la carità, questa fondamentale attuazione pratica senza la quale la fede è morta deve “inventare” nuove forme di presenza che, facendo buon uso della esperienza del passato, sappia proiettarsi, con fiducia e coraggio in aiuto ai bisogni, alle attese e alle necessità degli uomini di oggi e del futuro.
3. La conversione del cuore. Elementi diversi ci chiedono una autentica conversione del cuore. La parrocchia è sempre meno il centro della vita sociale di un paese ma è più una casa tra le case, dall’altra parte una accresciuta “cultura digitale” ha modificato in maniera irreversibile la comprensione dello spazio, del linguaggio e fino ai comportamenti delle persone, specialmente quelle delle giovani generazioni. La conferma l’abbiamo avuta nel tempo del lockdown quando le comunicazioni possibili viaggiavano quasi esclusivamente sui vari mezzi di comunicazione. È dunque urgente coinvolgere l’intero Popolo di Dio nell’impegno di cogliere l’invito dello Spirito Santo per attuare processi di “ringiovanimento” del volto della Chiesa. Mi rendo conto che queste sono indicazioni molto generiche ma possono essere il punto di partenza per un rinnovamento o meglio una “rigenerazione” della vita cristiana oggi che “niente è più come prima”.
don Natale
19 LUGLIO 2020 –NON SARÀ PIÙ COME PRIMA
È questa una affermazione che sentiamo ripetere frequentemente, mai poi viene da chiedersi: che cosa vuol dire? Penso che, più che tante spiegazioni, si abbia bisogno di vedere e constatare di persona cosa essa voglia significare e come siamo chiamati poi a tradurla in pratica.
Tempo fa, quando si prospettavano la possibilità e le tante incertezze per aprire i centri estivi, ho partecipato ad un incontro con il “responsabile della sicurezza”. Ebbene, devo confessare che man mano che illustrava le varie regole e tutte le precauzioni, insistendo sulla necessità di metterle rigidamente in pratica, mi sentivo sempre più angosciato e sfiduciato tanto era il peso opprimente di tutte quelle limitazioni. Anche perché dovevo poi rivolgermi alle maestre, che non erano obbligate ad assumersi questo servizio, per chiedere se si sentivano di rendersi disponibili a fare i centri estivi in asilo, avendo avuto delle famiglie che li avevano richiesti sia per necessità loro sia perché erano preoccupate che i bambini potessero riprendere una vita di relazione con gli altri. Bene, questa settimana sono terminati i centri estivi in asilo e devo dire con sincera soddisfazione dei bambini che, pur in piccoli gruppi – solo cinque con una maestra – hanno mostrato di essere contenti, hanno rispettato con puntigliosa e giocosa disponibilità tutte le limitazioni e le regole; sono rimasti soddisfatti i genitori, e devo dire un grazie grande alle maestre e a tutto il personale che – pure loro – hanno riconosciuto come questo ci ha aiutato a vivere un rapporto più personale con i bambini e soprattutto ci ha aiutato a capire come non “sarà più come prima”. Non è detto che sarà peggio, anzi, molte cose sono da ritenere e da valorizzare, molte cose che forse prima conoscevamo ma per vari motivi non riuscivano a realizzare.
Un altro esempio, anch’esso iniziato con tante perplessità, ma anche con grande coraggio che ho avuto modo non solo di ricordare ma soprattutto da apprezzare in tutti a cominciare da don Enrico e don Daniele, e poi tutti gli adulti e animatori, anche il comune nella persona del Sindaco e degli assessori e della dirigente scolastica, che hanno messo subito a disposizione degli ambienti sono i “centri estivi dei bambini e ragazzi”. Anche qui, questa sarà la terza settimana, c’è stata una unanime soddisfazione, e veramente non è stato più come prima, ma quante cose abbiamo scoperto utili, importanti, educative sia per il corpo che per lo spirito, insomma una ampiezza di iniziative che ci hanno insegnato un nuovo modo di essere e di vivere la relazione, la scoperta, la bellezza del servizio e la preziosità della collaborazione tra giovani animatori e adulti, parrocchia e società civile. I ragazzi hanno sperimentato la gioia di andare in bicicletta insieme e di visitare luoghi che conosciamo, ma che non abbiamo mai “abitato” con affetto e conoscenza artistica, culturale e religiosa: la chiesetta del Loncon e il Duomo di Portogruaro, il Cisiol dei santi Martiri e il collegio Marconi, il museo etnologico di Cavanella e il Bosco delle Lame, lo spazio per il gioco e la chiesa del Paludetto, la chiesa della Madonna Bambina e lo spazio dell’ oratorio del Teson, l’oratorio di Sindacalee il vicino museo della guerra, il santuario Madonna di Fatima dei frati cappuccini e infine il Battistero e la Cattedrale. Tutti hanno giocato e tutti hanno pregato e cantato, chi ha desiderato ha chiesto nella confessione il perdono al Signore, hanno fatto i laboratori in una forma diversa, ma più sobria e più efficiente. Insomma la formula che è stata proposta è tale da poter dire che va riproposta nel suo schema generale e veramente non è stato più come prima, ma è stata una scoperta nuova, positiva ed arricchente e più umana, più vicina alla sensibilità e alla vita vera.
Ecco due esempi che ci motivano nel dire che non sarà più come prima e che non deve essere più come prima, ma diverso, nuovo e bello, sia umanamente che spiritualmente.
don Natale
12 LUGLIO 2020 – IMPARIAMO ANCHE NOI A SOGNARE!
Una volta i nostri vecchi dicevano che per sognare bisognava mangiare tanta rucola non so se è vero, ma so quello che ci dice il Signore tramite il profeta Gioele che sognare da svegli è un dono dello Spirito Santo perché come diceva padre Turoldo: “Lo Spirito è come il vento non lascia riposare la polvere”. Il pericolo infatti è quello di fare riposare la polvere su questi tempi del coronavirus e di pensare che tutto sia passato e che bisogni ritornare al più presto possibile a “come prima”. Non è così e allora bisogna impegnarci a “sognare” una vita diversa e nuova dono dello Spirito dopo il Covid 19. Papa Francesco, in tutto questo tempo, ha continuato a “sognare” e ha espresso alcuni di questi “sogni” per impegnarci per una società diversa e veramente umana e cristiana. Eccone alcuni.
1. “La vita non serve se non si serve”. E’ il sogno di non vivere pensando solo a noi stessi, ma di vivere con la gioia di mettere la nostra vita a servizio degli altri. Potremmo chiedere alle persone adulte e ai ragazzi, giovani animatori, che si stanno impegnando nei “centri estivi” come vivono il “sogno di una vita che serve perché si fa servizio al prossimo, se ne vale veramente la pena”.
2. “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Il Papa ci indica tre nemici sempre accovacciati alla porta del nostro cuore che possono farci sprecare questa grave prova della pandemia: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo.
“Il narcisismo fa idolatrare sé stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti. Il narcisista pensa: ‘La vita è bella se io ci guadagno. E così arriva a dire: ‘Perché dovrei donarmi agli altri?’”. “In questa pandemia, quanto fa male il narcisismo, il ripiegarsi sui propri bisogni, indifferenti a quelli altrui, il non ammettere le proprie fragilità e i propri sbagli”. Ma anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso: “Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo: ‘Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!’. E il suo cuore si chiude, mentre si domanda: ‘Perché gli altri non si donano a me? Nel dramma che viviamo, quant’è brutto il vittimismo. Pensare che nessuno ci comprenda e provi quello che proviamo noi”. Nel pessimismo, infine, la litania quotidiana è: ‘Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…’. Il pessimista se la prende col mondo, ma resta inerte e pensa: ‘Intanto a che serve donare? È inutile. Ora, nel grande sforzo di ricominciare, quanto è dannoso il pessimismo, il vedere tutto nero, il ripetere che non c’è niente da fare, ormai! Pensando così, quello che sicuramente non torna è la speranza”.
3. Il terzo sogno è conquistiamo un diritto fondamentale: il diritto alla speranza. “È una speranza nuova, viva, che viene da Dio. Non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza, con un sorriso di passaggio. No. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soli. Mettiamo a tacere le grida di morte, basta guerre! Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno. Cessino gli aborti, che uccidono la vita innocente. Si aprano i cuori di chi ha, per riempire le mani vuote di chi è privo del necessario”. Si tratta di un peccato da cui anche noi, cristiani di oggi, non siamo immuni. «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione, illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza».
Grazie papa Francesco dei tuoi sogni ci aiutano anche noi a sognare.
don Natale
5 LUGLIO 2020
“DON E PAA PRIMA COMUNIONE COME CHE SE FA?”
Non solo per il primo incontro con Gesù nella Santa Comunione ma un po’ tutti i sacramenti sono da collocare entro le linee guida imposte dal coronavirus. Non vi nascondo che stante le incertezze per il futuro mi trovo in difficoltà a dare delle indicazioni precise, ma provo a riflettere su alcune linee.
BATTESIMO: il Battesimo per il momento è celebrato con la cerimonia propria fuori dalla S. Messa per le precauzioni che ci sono richieste e per delicatezza e rispetto per i bambini e i loro famigliari.
PRIME COMUINIONI che è giusto chiamare Celebrazioni della Messa di prima Comunione. Vorrei richiamare alcune riflessioni al riguardo.
La Messa di Prima Comunione va celebrata con e nella comunità. È un evento che riguarda non solo il bambino e la sua famiglia ma tutta la parrocchia. Deve risultare chiaro che il motivo centrale è il primo incontro con Gesù nella santa Comunione. Perché risulti chiaro bisogna cercare di evitare di concentrarsi su tutte quelle realtà che possono “distrarre” dalla centralità dell’incontro con Gesù. Stante queste limitazioni si dovranno trovare soluzioni che ci permettono di celebrare, a piccoli gruppi, in un contesto rispettoso della presenza dei famigliari e della comunità. Queste osservazioni ci dicono che non sarà più come prima e le varie limitazioni ci aiuteranno a rivedere e anche a “purificare” la celebrazione della Prima Comunione che con l’andare del tempo si è sempre più caricata di esteriorità, venendo a perdere il significato profondo e vero di questo incontro con il Signore Gesù inizio di una autentica relazione di amicizia e di vita spirituale con il Signore nel tempo. Per questo cerchiamo di confrontarci e concentrarci sul significato e importanza della Comunione poi saremo anche capaci di trovare l’accodo per i tempi e i modi delle celebrazioni nel rispetto delle regole.
PRIME CONFESSIONI. Segno dell’amore misericordioso del Signore la confessione è giorno di festa per tutta la comunità che si unisce alla gioia del singolo che accoglie il perdono del Signore dopo aver riconosciuto il proprio peccato. Nei bambini è importante che, nell’emozione di questo incontro, essi abbiano a sperimentare la presenza di un Dio che è sempre pronto ad accogliere chi sbaglia e a fare festa per ogni nostro ritorno alla casa del Padre accompagnati dalla preghiera e dalla presenza della comunità. Essa va collocata all’interno di una propria celebrazione e vissuta insieme alla gente. Bisognerà pensare con voi genitori quale sia il momento più opportuno e le modalità concrete per vivere con serenità e gioia questo incontro con il Signore che perdona.
CRESIME per il momento sono sospese, noi siamo stati fortunati, per così dire, perché per quest’anno a Concordia le avevamo già celebrate giusto in tempo prima del lockdown; al Teson verranno celebrate non appena possibile, in accordo con la comunità, i catechisti e le famiglie. Sarà da organizzare il percorso di catechesi per il prossimo anno.
MATRIMONI. Secondo le nuove disposizioni si possono celebrare ed è permesso agli sposi che durante la celebrazione non indossino la mascherina.
CATECHISMO. Sarà da rivedere e collegare anche con le norme che verranno date per le scuole. Certo anche qui senza creare allarmismi ma con la tenacia dei piccoli passi ci dovremmo preparare a un modo di evangelizzazione e di catechesi che risponda al mondo che è cambiato.
“Don e paa prima comunione come che se fa?”
“Doven parlase insieme e capì che no l’è pì come prima
e dopo ciapà e decision che mejo ne aiuta a incotrarse col Signor”.
don Natale
28 GIUGNO 2020 –“LA MARE DE SAN PIERO”–
La settimana attorno al 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, viene chiamata la settimana “de la mare de San Piero”. I nostri vecchi avevano infatti osservato che in questo periodo era facile che ci fossero temporali improvvisi e molto forti, come anche folate burrascose di vento e devastanti tempestate. Così com’è descritto dal parroco di allora, don Osvaldo Moretti, nelle cronache di Concordia:“Oggi 2 luglio 1870, fu una grandine così desolatrice in Concordia da non lasciare neppure una foglia sopra gli alberi; le viti spogliate e macerate come pure gli altri vegetabili (sic), le biade troncate con tutti gli altri legumi, così da non conoscere il luogo dove erano germinati. Il frumento era per buona parte già raccolto. Questo giorno sacro alla Visitazione di Maria a santa Elisabetta, il Signore ci ha visitati”. Da quell’evento disastroso la popolazione di Concordia ha fatto il voto che passa sotto il titolo di “Madonna del tempeston” e che da 150 anni si ripete ogni anno proprio il 2 di luglio con la processione della Madonna dalla Cattedrale alla chiesa della Tavella.
Se questi agenti atmosferici si sono sempre verificati, è però sotto gli occhi di tutti il fatto che la cupidigia egoistica di noi uomini in questi ultimi anni ha contribuito a deteriorare di molto le condizioni del nostro pianeta tanto da esigere un allarme generale a prendersi cura del creato allarme che ha trovato puntuale preoccupazione nella Chiesa e che ha spinto Papa Francesco a scrivere, per la prima volta nella storia, una enciclica sulla salvaguardia della creazione dal titolo: Laudato si’. A cinque anni dalla sua pubblicazione il Papa ha indetto un anno di preghiera e di riflessione sull’enciclica, dal 24 maggio di quest’anno fino al 24 maggio del prossimo anno. Dio ci ha creato per la comunione, per la fraternità, e ora, nella pandemia, più che mai si è dimostrata illusoria la pretesa di puntare tutto su se stessi, di porre l’individualismo alla base della società. Ma stiamo attenti! Appena passata l’emergenza, è facile ricadere in questa illusione. “Invito tutte le persone di buona volontà – ha aggiunto Francesco – ad aderire per prendere cura della nostra casa comune e dei nostri fratelli e sorelle più fragili”. Un anno che invita a un “periodo di più intensa orazione e azione a beneficio della casa comune”, “per riabituarci a pregare”, “per riflettere sui nostri stili di vita”, “per intraprendere azioni profetiche, invocando scelte coraggiose”. Ci sono delle decisioni da prendere in perfetta sintonia con l’impegno costante del Papa, fedele portavoce del grido di sofferenza della Terra, dei più poveri e dei migranti. Tanto da coniare – proprio nella sua Laudato si’ – la definizione di ecologia integrale, riferendosi a un approccio verso la natura, che non prescinda mai dall’aspetto umano, sociale e culturale. Un approccio che è diventato il suo “modo di operare” in questi anni così delicati per gli equilibri ambientali e che il Papa ha portato avanti attraverso gesti concreti e simbolici, come quando lo abbiamo visto parlare di ambiente con Fidel Castro, regalare la sua enciclica a Donald Trump e convocare un sinodo a impatto zero per difendere il futuro dell’Amazzonia.
Per accompagnare questo anno speciale dedicato alla cura del pianeta, il Papa ha scritto una preghiera invitando tutti a recitarla. Eccola:
Dio amorevole, Creatore del cielo, della terra e di tutto ciò che contengono.
Apri le nostre menti e tocca i nostri cuori, affinché possiamo essere parte del creato, tuo dono.
Sii presente ai bisognosi in questi tempi difficili, specialmente i più poveri e i più vulnerabili.
Aiutaci a mostrare solidarietà creativa nell’affrontare le conseguenze
di questa pandemia globale.
Rendici coraggiosi nell’abbracciare i cambiamenti rivolti alla ricerca del bene comune.
Ora più che mai, che possiamo sentire di essere tutti interconnessi e interdipendenti.
Fai in modo che riusciamo ad ascoltare e rispondere al grido della terra e al grido dei poveri.
Possano le sofferenze attuali essere i dolori del parto di un mondo più fraterno e sostenibile.
Sotto lo sguardo amorevole di Maria Ausiliatrice, ti preghiamo per Cristo Nostro Signore. Amen.
don Natale
21 GIUGNO 2020 – DUE NUOVI SACERDOTI –
Sabato 27 giugno alle ore 9,30 il nostro Vescovo Giuseppe ordinerà due nuovi sacerdoti: don Daniele Falcomer e don Marco Cigana. È festa grande per le loro famiglie, per la Diocesi e per le parrocchie d’origine; è festa anche per Concordia e Maniago, comunità dove i due novelli sacerdoti hanno vissuto la loro presenza di servizio come diaconi. Sia benedetto il nome del Signore! Dopo la dolorosa e faticosa “prova” del coronavirus abbiamo un grande e bel segno di speranza e di coraggio. Infatti scegliere di mettersi servizio della comunità e di seguire il Signore come suoi discepoli nel sacerdozio è dono e grazia che va accolta e vissuta con fiducia e gioia per seguire Gesù e per camminare insieme alla gente. Se penso alla mia di ordinazione sacerdotale 47 anni fa ricordo che a quel tempo c’erano 10 sacerdoti diocesani e 10 sacerdoti appartenenti a ordini religiosi nativi di Concordia. Ora i tempi sono cambiati e le presenze sacerdotali sono molte di meno anche se il Signore continua a fare maturare la messe in abbondanza e ci invita a pregare perché il Padre mandi operai per la sua messe. Papa Francesco un giorno, a chi gli chiedeva perché terminasse ogni suo discorso chiedendo di non dimenticarsi di pregare per lui, ha detto che lui ha imparato un po’ alla volta il grande valore anzi l’indispensabile sostegno della preghiera e confessava che da giovane sacerdote non era così continuativo il suo chiedere che si pregasse per lui, ma poi man mano che andava avanti nella vita si è accorto che il prete, come tutti, ha bisogno del sostegno della preghiera sia propria che di quella degli altri e così ha cominciato a chiedere in ogni circostanza di pregare per lui. Allora anch’io chiedo per i preti novelli e per tutti i preti la preghiera vostra perché ci sostenga e ci renda sempre più fedeli a Dio e al prossimo. Volendo poi dare una specificazione e intenzione alla preghiera potrei tradurla così:
Preghiamo perché i preti siano fedeli dispensatori della Bella Notizia del Vangelo e la trasmettano con gioia, con la consapevolezza che i primi destinatari di essa sono loro stessi, perchè quello che annunciano ha bisogno di trovare corrispondenza fedele nella loro vita.
Preghiamo perché i preti abbiano a cuore di testimoniare con forza e tenerezza la misericordia di Dio. Siano instancabili annunciatori della grazia del perdono del Signore. Per farlo con efficacia, loro per primi, vivano la bellezza del perdono di Dio e riconoscano con l’umiltà di essere amati e perdonati dal Signore. Ad una intervista a Papa Francesco hanno chiesto: “Chi è papa Francesco?”. E il papa, dopo averci pensato un attimo, ha risposto:” Sono un peccatore che ha avuto la gioia di incontrare l’amore e il perdono del Signore”
Preghiamo perchè i preti vivano concretamente il servizio della carità e sappiano prendersi a cuore la gente a cominciare dai piccoli, poveri e ultimi. Sappiano essere ospitali nel cuore e nella vita e mettano in pratica l’insegnamento di Gesù che è presente in coloro che hanno fame e sete, in coloro che sono malati, stranieri, in carcere e afflitti da ogni avversità, accogliendo loro accolgono Gesù. Papa Giovanni XXIII, alla sua partenza dalla Bulgaria, ha salutato la gente con questa promessa: “Secondo una tradizione irlandese, tutte le case mettono alla finestra, nella notte di Natale, una candela accesa, per indicare a Maria e a San Giuseppe, che cercano un rifugio nella notte santa, che in quella casa c’è posto per loro. Ebbene, ovunque io sia, anche in capo al mondo, se un bulgaro passerà davanti alla mia casa troverà sempre alla finestra una candela accesa. Egli potrà bussare alla mia porta e gli sarà aperto; sia cattolico o ortodosso, egli potrà entrare e troverà nella mia casa la più calda e la più affettuosa ospitalità”.
Non dimentichiamoci dunque di pregare per don Daniele e don Marco
e per tutti i preti.
don Natale
14 GIUGNO 2020 – LA FIESTA DEL CORPUS DOMINI –
Gelsomino Molent nel libro “Mai dismintiarai”. La Concordia di ieri in sessanta racconti scrive: “La fista de Corpus Domine i feva la prucission, senpre de matina, e banda par banda dea strada ‘ndove che passsava la prucission i meteva tute fras’cie verde de saes. I tosatei dea prima comunione i spandeva, man man che i ciaminava, fiori davanti al prete che el portava el Signor ne l’Ostensorio grand”. Era una festa e una gioia per tutti che il Signore Gesù nell’Eucaristia passasse per le vie del paese e la sua presenza fosse di benedizione per tutti. C’era anche chi ornava i portoni con rami verdi e fiori e dai balconi pendevano drappi colorati, in genere erano copri letti più belli che non si usavano mai e si tiravano fuori solo in queste occasioni o quando doveva venire il medico o il prete a portare la comunione a qualche malato. Anche quest’anno avremmo dovuto fare la processione e passare a benedire con il Santissimo la nostra cittadina, ma è arrivato il coronavirus e ancora non si può. Per due mesi siamo stati bloccati in casa e non avevamo la possibilità di muoversi nemmeno per venire a Messa e fare la Comunione. Abbiamo sentito alcuni protestare perché non erano d’accordo e rimproverare perché la Chiesa era stata un po’ troppo arrendevole nel cedere ai divieti. Questo esprimeva una grande bel desiderio di celebrare la S. Messa e di ricevere la Comunione. Quando poi finalmente ci è stato possibile ritornare a celebrare la S. Messa con il popolo i posti in chiesa, pur ridotti per via delle limitazioni imposte dal coronavirus, non sono stati tutti occupati, certo c’è ancora la paura e la difficoltà di ritornare alla “normalità” e quindi aspettiamo con fiducia nella speranza. Vorrei lasciare ora tre piccoli segni che richiamano il significato e il dono grandissimo che Gesù ci ha fatto nell’Eucaristia.
- Il catino, la brocca dell’acqua e l’asciugamano. Sono i segni con cui Gesù, nell’ultima cena, ha lavato i piedi agli apostoli. Sono anche i segni con cui l’evangelista Giovanni narra l’Eucaristia. L’evangelista ha così voluto dirci che l’Eucaristia è vera e autentica nella nostra vita se anche noi siamo capaci di vivere la nostra esistenza nel servizio di amore di Gesù nel semplice e significativo gesto del lavare i piedi gli uni gli altri.
- Il pane spezzato e condiviso. I cristiani della chiesa dell’origine chiamavano l’Eucaristia “pane spezzato”. A significare che Gesù ha preso la sua vita e come pane l’ha spezzata con la sua morte in croce e ne ha fatto dono di condivisione per tutti. L’Eucaristia per essere autentica e vera in noi deve renderci pronti a fare anche noi della nostra vita un dono di amore da condividere con gli altri, con tutti gli altri.
- La vite che piange. Abbiamo tante volte osservato come dopo la potatura, all’inizio della primavera, la pianta della vite “piangeva”, era il segno che la vite era viva e che era pronta a donare la linfa vitale ai tralci perché producessero frutti abbondanti. Gesù ci ha ricordato che se vogliamo portare frutto anche noi, come i tralci, dobbiamo rimanere uniti alla vite. Ricevendo l’Eucaristia anche noi riceviamo la linfa vitale che è Cristo in modo che la nostra vita produca frutti abbondanti di bene e di gioia. L’Eucaristia è dunque fondamentale per la nostra vita cristiana essa come diceva Carlo Acutis, un giovane ragazzo, del quale è in corso la causa di beatificazione e che ha cercato di essere presente ogni giorno alla S. Messa e di ricevere la Santa Comunione: “L’Eucaristia è la mia autostrada per il cielo, infatti l’Eucaristia ci fa diventare simili a Gesù e già su questa terra pregustiamo il Paradiso”.
Sia lodato e ringraziato in ogni momento,
il Santissimo e Divinissimo Sacramento.
don Natale
7 GIUGNO 2020
VIENI A PRENDERE UN CAFFE’
Il vescovo di Pinerolo ha scritto, prima del coronavirus, la lettera pastorale alla sua diocesi con questo titolo: “Vieni a prendere un caffè”. È un titolo insolito per una lettera di un Vescovo alla gente della sua diocesi ma, come ampiamente è spiegato nel corso della lettera, essa è un pressante invito a recuperare un rapporto di prossimità e di amichevole vicinanza con le persone. La lettera intende sottolineare l’importanza delle relazioni che, sia in ambito civile che anche come cristiani, abbiamo lentamente abbandonato. “Vieni a prendere un caffè” è un modo per dirti fermati, sostiamo un momento in compagnia, guardiamoci negli occhi e facciamoci racconto di quello che rallegra o intristisce il nostro cuore, entriamo, ma non frettolosamente, in un vero rapporto di relazione tra di noi. Giovedì sera abbiamo avuto una di queste soste di due ore in Cattedrale per pregare invocando lo Spirito Santo perchè come dice il profeta Gioiele “Lo Spirito Santo doni ai nostri giovani la gioia di profetizzare e agli anziani quella di sognare” anche in questo tempo di prova e di sofferenza per il coronavirus. Perchè? Credo che tutti vorremmo che questa pandemia finisse “ieri” e la crisi economica “l’altro ieri” ma non è così. La questione è molto più seria: “non è una parentesi per ritornare come prima”. Non torneremo alla società e alla Chiesa di prima. Questo tempo parla, ci parla, anzi ci urla per dirci con forza la necessità di cambiare. La società che ci sta alle spalle non era “la migliore società possibile” nè la Chiesa era “la Chiesa che veramente sognavamo” anzi ricordate come ci lamentavamo per la poca frequenza alla Messa, per l’abbandono dei giovani, per la insensibilità per i valori morali ed etici della proposta evangelica? Bene possiamo, anzi dobbiamo, non tornare alla società e alla Chiesa di prima. Ecco perché questo è il tempo per profetizzare e per sognare in modo che cresca nella società e nella Chiesa qualcosa di nuovo. Questa era una società e anche una chiesa sbilanciata sull’individuo. Ognuno era interessato a vivere bene per sé, convinto che quando sto bene io mi basta e gli altri vedano loro di arrangiarsi come riescono. Rimanere chiusi per tre mesi ci ha fatto rendere conto che le RELAZIONI con gli altri sono importanti quanto l’aria che respiriamo o il cibo che mangiamo. Ci siamo resi conto che noi siamo le relazioni che riusciamo a costruire. Questo ha significato riscoprirsi parte di una COMUNITA’. L’abbiamo scoperto sperimentandolo sulla nostra pelle e soffrendolo nella nostra testa. Bene adesso che lo abbiamo scoperto proviamo anche a viverlo. “No, la pandemia non è stata una parentesi”, ma potrà invece essere invece una nascita, la nascita di una società diversa, e di una Chiesa-Comunità diversa. Non sprechiamo questa occasione, l’opera di purificazione della pandemia che ci ha fatto vedere meglio ciò che è bene per noi come cittadini e come cristiani. Così come cristiani non dobbiamo tornare alla Chiesa di prima. Non pensiamo infatti di risolvere tutto perché adesso possiamo celebrare di nuovo la S. Messa con la gente. Credo all’importanza fondamentale della S. Messa per il cristiano perché senza la S. Messa ci manca l’Eucaristia e non c’è comunità non c’è Chiesa senza Eucaristia. Così spero che ci troviamo in molti, noi dell’Unità Pastorale concordiese, per celebrare assieme giovedì di questa settimana alle 20,00 sul piazzale della cattedrale il Corpus Domini e per condividere nel dono dell’Eucaristia la voglia di diventare, a nostra volta, dono di servizio e amore agli altri, a tutti gli altri. Ma insieme vogliamo recuperare anche la dimensione della Chiesa domestica, della Chiesa in famiglia e in essa vivere momenti di riflessione sulla Parola di Dio, riscoprire la bellezza di spazi di silenzio e godere nello stupore e nella meraviglia di fronte alla bellezza della natura e la gioia semplice della preghiera assieme ai propri famigliari. Non solo una comunità che va in Chiesa ma anche una Chiesa che va agli altri a tutti gli altri. Incominciamo a sognare per essere non cristiani “devoti” – in modo individualistico, intimistico, astratto, ma “credenti” che credono in Dio che è TRINITA’ cioè relazione tra le tre Persone per nutrire la propria vita e per riuscire a credere alla vita oltre la morte. Non comunità chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità aperte alla fantasia dello Spirito, cariche di speranza, comunità che contagiano di passione e di entusiasmo e gusto di vivere. Comunità dove si raccoglie e ci si fa l’invito: “Vieni a prendere un caffè” e lo si dice con il sorriso sulle labbra e con la gioia di stare insieme in compagnia.
don Natale