Confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a Pasqua
Così recitava uno dei 5 precetti generali della Chiesa, ma ci chiediamo: come attuarlo con questa pandemia e in zona rossa, data l’aggravata pericolosità del contagio? I nostri Vescovi – che sono oltre che maestri anche pastori – hanno dato la facoltà della celebrazione della Penitenza o Confessione in forma comunitaria con l’Assoluzione generale come abbiamo già sperimentato a Natale. Ad essa vanno aggiunte tre importanti premesse:
- questo rito della celebrazione della confessione, poiché ha vero e proprio valore di Sacramento, necessita di essere ben compreso e quindi ha bisogno di una catechesi che ne spieghi il valore, specificandone la straordinarietà della concessione, che è data per evitare il più possibile il rischio del contagio. Non è dunque una scappatoia per non andare a confessarsi in forma individuale.
- nel rispetto di tutte le precauzioni ci sia la possibilità, per chi lo desidera, della confessione individuale e personale. Perciò noi sacerdoti saremo a disposizione secondo gli orari che vi saranno comunicati per la confessione individuale.
- rimane l’impegno nella confessione successiva di chiarire con il confessore, là dove ci fosse bisogno di un approfondimento, per quanto riguarda la gravità di alcuni peccati. Il confessore, infatti, a nome della Chiesa, ha anche il compito di educare e di istruire la coscienza delle persone, accompagnandole nel loro percorso di crescita nella vita cristiana. Egli è chiamato ad aiutare i fedeli a formulare un giusto giudizio morale sulle proprie azioni a confronto con il Vangelo e il Magistero della Chiesa.
Certo che questa possibilità è data perché non ci venga a mancare il grande dono della Misericordia di Dio Padre che ci è stato dato nella morte e nella risurrezione di Gesù che celebriamo nella festa della Pasqua. Vorrei allora soffermarmi con voi su tre espressioni, che spiegano bene il senso del Sacramento della Riconciliazione; perché – come dice papa Francesco – andare a confessarsi non è andare in tintoria perché mi tolgano una macchia. No, è un’altra cosa. E’ Abbandonarsi all’Amore significa compiere un vero atto di fede nell’Amore del Signore. La fede è l’incontro con la Misericordia, con Dio stesso che è Misericordia – il nome di Dio è Misericordia – ed è l’abbandono tra le braccia di questo Amore, misterioso e generoso, di cui tanto abbiamo bisogno, ma al quale, a volte, si ha paura ad abbandonarsi. Il dolore per i propri peccati è il segno di tale abbandono fiducioso all’Amore. La crescita nella fede. Vivere così la Confessione significa lasciarsi trasformare dall’Amore. È la seconda dimensione è l’Amore che si è manifestato pienamente in Gesù Cristo e nella sua morte in croce per noi. Il penitente che incontra, nel colloquio sacramentale, un raggio di questo Amore accogliente, si lascia trasformare dall’Amore, dalla Grazia, iniziando a vivere quella trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne, che è una trasformazione che si dà in ogni confessione. Questo si chiama il cammino della conversione. La terza e ultima espressione è: corrispondere all’Amore. L’abbandono e il lasciarsi trasformare dall’Amore hanno come necessaria conseguenza una corrispondenza all’amore ricevuto. Il cristiano ha sempre presente quella parola di San Giacomo: «Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (2,18). La reale volontà di conversione diventa concreta nella corrispondenza all’amore di Dio ricevuto e accolto. Si tratta di una corrispondenza che si manifesta nel cambiamento della vita e nelle opere di misericordia che ne conseguono. Sono i frutti del perdono.
Chi è stato accolto dall’Amore, non può non accogliere il fratello.
Chi si è abbandonato all’Amore, non può non consolare gli afflitti.
Chi è stato perdonato da Dio, non può non perdonare di cuore ai fratelli.
don Natale